I nonluoghi, spazi di transizione, della solitudine in mezzo alla gente

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I  nonluoghi sono luoghi della collettività, dove un numero di persone sono fisicamente vicine ma non necessariamente insieme. Sono aree di transito come aeroporti, sale d’aspetto, grandi centri commerciali, La definizione è di Marc Augè (1992), antropologo francese, che ha coniato tale termine per  definire i nuovi luoghi della società odierna, che hanno la caratteristica comune di non essere identitari.


Spazi come le autostrade, gli autogrill, le sale d’attesa delle stazioni, gli ambulatori medici sono luoghi del presente, senza storia, spazi del possibile, del fruibile, del transito fast, raccordi dove i significati sono impliciti. I rituali sono condivisi, codici e norme vengono rispettate anonimamente.

 In questi luoghi di passaggio, precari e provvisori, ciò che accomuna gli astanti è la configurazione presente, una foto rapida, che si dissolve pochi minuti dopo. Basti pensare al momento prima dell’arrivo di un autobus, un minuto dopo lo stesso luogo affollato e abitato da una micro folla, assume un nuovo aspetto, desolato per poi transitari verso un nuovo aspetto poco dopo. Quadri di questo genere si compongono e si scompongono in modo ritmico, come fotogrammi sociali che si susseguono. Se da un lato in questi luoghi avviene una spersonalizzazione dell’individuo, dall’altra egli si sente protetto, rassicurato da una folla anonima, e da posti seppur lontani, asettici, che risultano comunque familiari, ovunque ci si trovi. Una stazione è una stazione, con i propri rituali, un fast food è un fast food e si sa cosa ci si trova, a Tokyo o a Casalecchio. Sebbene frequentati da soli, si conoscono le regole e cosa faranno le altre persone lì presenti. Il rituale è prevedibile e pertanto rassicurante, sostiene il sistema sociale, e il singolo si sente comunque in una piazza condivisa, affrancato da un senso in ogni caso di appartenenza.
 Le regole sono sottese.

 In un ascensore si formano compagnie casuali di un viaggio che dura un battito d’ali.

Nella nostra società si condividono quotidianamente tali rituali, a cui ci si conforma, si uniforma, e se ne diventa consumatori. La dimensione metropolitana impone uno standard di vita globalizzato, non fa molta differenza se si cammina per le grandi strade di Milano, Parigi, Rio de Janeiro. Nonostante la differenza della latitudine, l’occhio umano ritroverà immagini, prodotti familiari, oggetti condivisi e collettivi, la stessa bevanda, la stessa carta di credito, le scarpe da ginnastica, o quel negozio che vende quel tipo di abbigliamento. L’individualismo delle società occidentali ha dall’altro lato prodotto una unificazione dei consumi, per assurdo. In un nonluogo è possibile incontrare il mondo, e allo stesso tempo provare un senso estremo di solitudine.

 Isolamento e socialità si intersecano.

In altre realtà ancora non fagocitate dalla tendenza al livellamento dello standard di vita come possono essere i paesi della provincia italiana, globalizzazione e località coesistono. Se da un lato l’uniformarsi ai prodotti è incalzante, coesiste e resiste un’attenzione al consumo chilometro zero, al cibo dell’orto. In tutto questo le ondate migratorie portano a una coabitazione o anche a una fusione dei costumi, contaminazioni culturali modificano, incidono e creano nuove usanze.

 Non esistono in sé costumi migliori o luoghi peggiori di per sé. Tutto assume un senso dettato da chi ci si approccia. Frenare o esaltare i processi culturali non è la direzione ottimale. Educare alla consapevolezza, cercare di comprendere cosa accade e cosa determina un rito sociale è compito delle agenzie educative, come la famiglia, la scuola, i formatori.

Vi sono tante genti nel mondo, e tanti luoghi. Gente che emerge ma anche che vive ai margini. Luoghi degli affetti, caldi e protetti e luoghi veloci, funzionali, utili se si ha la conoscenza di chi è lì per fare cosa. E luoghi marginali, devianti.

E’ nell’attribuire un significato a questi  rituali sociali, e nella loro comprensione che da semplici cittadini passivi e adattati si diventa attori sociali consapevoli. Pronti a godere del mondo pieno e dei luoghi solidi, a transitare, sapendo, per i nonluoghi, in grado di distinguere e riconoscere i luoghi cari degli affetti.

Ameya G. Canovi

20 commenti su “I nonluoghi, spazi di transizione, della solitudine in mezzo alla gente”

  1. Ciao.E' vero che esistono luoghi "non luoghi" dove il transito è casuale e l'inndifferenza regna sovrana. La gente ripercorre il suo schema mentalee lo ripropone, come animale conservatore, nella sua vita.Rivive noiose banali ripetitive giornate al centro commerciale rassicurata dal ritrovo della marca amata, rassicurata dal marchio che conosce.Altre persone, figli di una stessa indifferenza, vivono la velocità della stazione e dell'aeroporto non cercando altro che di raggiungere il proprio obettivo: transitare e quindi andare via, partire.Per esse, se esiste la gente, esiste solo come fattore limitante il loro obiettivo.Lo studio medico credo sia una sana eccezione.Molto spesso negli studi ci sono anziani a frequenza settimanale e conosciuti, noti. a molti.Essi parlano, chiacchierano, conivolgono coi loro malanni e i loro aneddot i la gente più assorta e riservata.Essi riescono a strappare dietro un sorriso una goccia di umanità!ciao, buona giornataelena

  2. I nonluoghi[..] In alcuni post, e commenti vari su questo blog, qualche volta si è tirato in ballo il concetto di(per esempio in questo mio commento sul post "Genius Loci")Ho scoperto Marc Augé, l'antropologo francese che ha coniato quest [..]

  3. I nonluoghi[..] In alcuni post, e commenti vari su questo blog, qualche volta si è tirato in ballo il concetto di(per esempio in questo mio commento sul post "Genius Loci")Ho scoperto Marc Augé, l'antropologo francese che ha coniato quest [..]

  4. E non dimentichiamo la criminologia….ho studiato la psicologia dei criminali, ma nel mio  corso di investigatrice privata…(ho fatto raccolta un po' di qua e là ).Buona notte Ameya e saluti a tutti.Nadia

  5. @Irene i saperi non sono divisi, se studi psicologia incontri l'antrolopologia e la sociologia, leggi i piani di studio delle facoltà.

  6. La settimana scorsa ho finito di leggere Modus vivendi – Inferno ed utopia del mondo liquido, di Zygmunt Bauman.E' una analisi (sociologica, purtroppo esula da altre considerazioni, l'approccio è troppo antropocentrico) che affronta anche la questione dei non luoghi e della individualizzazione come risultato della frantumazione comunitaria imposta dal capitalismo parassitario e vorace. Divisione estrema in individui senza rete sociale e paura. Come carburante e comburente, servono entrambi.I non luoghi sono i luoghi della modernità liquida. Sono i tempi nei quali essa si celebra.In termini di persona, di piscologia?Bene o male?Bene e male, come tutte le cose.Sono catalizzatori.Catalizzano, accelerano e incrementano. ampiano anche le dinamiche della paura.

  7. Ameya, che cosa interessante! Ma questo tipo di lettura degli spazi a quale disciplina è più afferente? Antropologia? Sociologia? Oppure a Psicologia si studia anche questo? Grazie se vorrai rispondermi, sono alla ricerca di studi adatti a me..Buon lunedìIrene

  8. si ma questo va bene nell'ambito appunto di esercizi commerciali anche se poi negli usa ma anche nel resto d'europa è in atto una specie di rivoluzione nel contract interior design (ovvero la progettazione di architettura d'interni per l'impresa e gli esercizi commerciali) circa il fatto di creare chessò sedi, pur coerenti all'immagine coordinata e i valori dell'impresa, comunque diverse come ambienti. diverso è per i luoghi di transizione cittadini :)per non parlare appunto che è vero che un luogo uguale rassicura ma delle piccole novità stimolano anche la fantasia e la curiosità.l'uomo è alla fine in bilico tra il cambiamento e la staticità, ha bisogno dell'uno e dell'altro.

  9. ricordo il corso di urbanistica, anni fa e proprio il concetto dei luoghi della transizione.progettati esclusivamente per essere ottimamente fruibili dai più… e generalmente piacevoli.eppure secondo me bisognerebbe trovare un proprio stile, un'immagine coordinata per una città che renda questi spazi diversi da tutti gli altri. caratteristici, come può essere una piazza famosa. Piazza castello a torino da piazza castello a milano, per esempio, si differenzia molto, hanno forme diverse. (la prima rettangolare la seconda circolare). in linea con la struttura originaria della città. la prima derivante e mantenente la forma squadrata del castrum romano, la seconda, uno stile medievale marcato, a pianta circolare.io penso che i moderni spazi di transizione hanno perso molto rispetto al passato, diventando solo veicoli pubblicitari di un'identità globalizzata.Non so, pur trattando per lavoro di queste cose, mi occupo comunque di realtà piccole, micro e piccole imprese che si identificano direttamente con il titolare e per le quali mi riesce difficile pensare ad un immagine standardizzata e diffusa come può averla un centro commerciale auchan, o l'ipercoop. o ancora le realtà infinitivamente ripetute degli autogrill lungo le strade.però è anche vero che rimangono luoghi speciali…quando in quei luoghi vivi momenti particolari della tua vita. ricordo un marciapiede banalissimo in piazza oberdan dove un tipo che amavo mi baciò la prima volta.anche se con il tempo ha perso di significato…ogni volta che ci passo sorrido. 😉

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