Si diventa grandi attraverso riti di passaggio. Un rituale significativo nella società attuale è l’ingresso nella scuola superiore. Dall’ambiente protetto e familiare delle scuole medie, a quattordici anni circa si passa alle “Superiori”. Già il nome implica qualcosa di più alto, di più “qualcosa”. Si aggiungono amici nuovi, nuovi docenti, materie, edifici imponenti. Insomma diventa ufficiale: si è “quasi” grandi, o meglio si è più grandi.
E in questo passaggio ci sono nuove norme da apprendere, un codice tribale comunicativo differente. Nella nostra realtà spesso ci si sposta fisicamente con mezzi pubblici per raggiungere la nuova scuola.
Qui si mescolano vite, provenienze, valori.
Ci si confronta con le proprie paure, “Sarò promosso?”, “Avrò fatto la scelta giusta?”, “Sarò accettato, approvato, incluso nel nuovo gruppo?”. E come in ogni contesto ci sono regole, linguaggi verbali e non verbali. L’abbigliamento è un grande supporto per sentirsi del giro, il ricalcare il modello dei più grandi, di chi ormai è lì da un po’, aiuta a non sentirsi “diverso”.
Abitudini consolidate, apprese e acquisite diventano un must da seguire e ricalcare per chi arriva.
Tra le usanze socialmente apprese degli adolescenti vi è il fumo da sigaretta.
Si impara a fumare per imitazione. E non solo
Si fuma la prima volta per curiosità, per sentirsi dentro, per sentirsi giusti, “fighi”, grandi, perché lo fanno tutti. Perché lo fa lui/lei, che sembra così speciale e sicuro/a di sé. Non importa se non piace, se gli adulti (alcuni) dicono che fa male, ecc (tanto poi lo fanno anche loro, allora?). A quindici anni ci si sente immortali, e a prevalere sono altri bisogni: l’appartenenza gruppale, il nascondere la propria ansia, il poter sancire con un comportamento “trasgressivo” l’ingresso nel mondo di quelli “grandi”.
La motivazione al fumo negli adolescenti è in opposizione al discorso della prevenzione, di cui tanto si parla.
Gli adolescenti spesso si conformano al non-conformismo, seguendo un bisogno di distinzione, di individuazione e separazione dalla famiglia. Alcuni formano la propria identità per adesione ai modelli familiari, altri scelgono la modalità dell’opposizione.
Le norme degli adulti diventano un qualcosa cui opporsi a prescindere.
Perché un teen ager dovrebbe ascoltare un adulto, un insegnante, che percepisce come colui che limita, impone, restringe, richiede adesione a un modello distante, che non lo rispecchia?
Quindi che fare nelle scuole, luogo dove spesso si inizia a fumare, così magari si può stare coi più grandi, utilizzando la sigaretta come lascia passare, come biglietto di ingresso nel clan?
Informare? Reprimere? Proibire? Sanzionare? Applicare la legge in modo ligio? O Tollerare e accettare il fumo perché usanza culturale di questa precisa società? Perché c’è di peggio? Perché qualcosa si deve pur fare?
Per un meccanismo psicologico ben noto, alcuni comportamenti risultano estremamente affascinanti proprio in quanto “vietati” da chi rappresenta il potere, dai genitori, dal mondo “ufficiale”.
Fumare è disgustoso.
Il sapore del fumo è nauseante, tossico, invade i polmoni, soffoca, riduce, toglie.
Invece viene visto e vissuto come qualcosa che “aggiunge” sicurezza, amici, riempie un vuoto insicuro che spaventa, colma la distanza tra quelle incertezze che caratterizzano i rapporti nuovi, sconosciuti, mitiga l’imbarazzo e lo smarrimento di non sapere ancora chi si è.
La sigaretta, di per sé un insieme di veleni confezionati in carta dorata, diventa piacevole grazie soltanto all’attribuzione di significato che ognuno vi dà.
Il fumare può diventare funzionale al funzionare in un ambiente nuovo, come la scuola, per esorcizzare eventuali fragilità e incognite.
Certo non tutti iniziano. Chi ha una personalità forte e ben strutturata, chi magari fa molto sport, chi non ne sente il bisogno e si identifica con un modello diverso, attraversa il varco dell’adolescenza e non inizia a fumare. Molti altri invece diventano fumatori.
Cosa può fare l’adulto? Il docente? Chi lavora coi ragazzi? Che cosa può fare la scuola?
Non ci sono soluzioni efficaci e preconfezionate. L’associazione tra il fumo da sigaretta e un modello di “macho” degli anni Cinquanta, della donna emancipata degli anni Sessanta, resta ancora nel collettivo e ha assunto via via altri sensi. Si associa al fumo un momento di rilassamento, un riempitivo, un piacere, una gratificazione. Finché il fumo rappresenta qualcosa che qualcosa non è, ricompensa, status, trasgressione, ribellione, esso continuerà ad essere visto come qualcosa di irrinunciabile, qualcosa di bellissimo ed affascinate. E così è per ogni fumatore abituale.
Al momento il messaggio diffuso nella nostra cultura occidentale è che si ha bisogno di “qualcosa”, della stampella, del ciuccio per poter funzionare. E’ una prassi diffusa utilizzare feticci e veleni vari con l’illusione dell’uso “ludico”. E qui il discorso si allargherebbe a ogni dipendenza, tra cui il fumo è soltanto una delle tante, che passa come socialmente recriminata ma anche accettata.
Soltanto se fumare verrà associato a qualcosa di fuori moda, di inutile e “sfigato” i giovani potranno rinunciare a farlo. Solo se nell’immaginario collettivo verranno proposti altri modelli da seguire come vincenti il fascino della “paglia” decadrà.
Fino allora, intanto che fare?
Informare senz’altro. Non rinunciare a porsi come interlocutore propositivo di modelli consapevoli e responsabili, non autodistruttivi. E sicuramente vietare, per arginare il danno, dando un segnale forte. Seguendo per primi le regole in modo coerente e coeso. Tutti.
Oltre alle motivazioni psicologiche, comportamentali, culturali che spingono i giovani a iniziare a fumare e gli adulti a continuare a farlo, è un dato di fatto che il fumo FA MALE, NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE. A tutte le età.
Non fumare a scuola e dintorni, inteso come luogo pubblico, è sicuramente una buona e sana abitudine, va scelta, condivisa, compresa e attuata responsabilmente da tutti. Poiché la scuola è una, tra le altre, delle agenzie educative, inserita in un sistema più ampio, essa deve dare strumenti da usare là fuori.
Sanzionare può essere un deterrente situazionale immediato, che si basa sul timore di venire scoperti, puniti, smascherati ai genitori.
Il successo come educatori e come specchio sociale lo avremo quando dapprima alcuni giovani, poi sempre di più, sceglieranno spontaneamente altri modelli, non autolesionisti ma consapevoli del valore di se stessi e della propria salute al punto da poter dire con responsabilità :“no grazie”.
“Chi ha una personalità forte e ben strutturata, chi magari fa molto sport, chi non ne sente il bisogno e si identifica con un modello diverso, attraversa il varco dell’adolescenza e non inizia a fumare. Molti altri invece diventano fumatori.”
C’è anche chi rimane più bambino e continua ad ascoltare i genitori fino a… 18? 20? 25? Per poi iniziare a fumare con lo stesso gusto trasgressivo di prima, o peggio. (Ogni riferimento personale è puramente casuale 😉
Ogni trasgressione ha il suo tempo? Ci sono trasgressioni migliori o peggiori? O è meglio non trasgredire affatto?