Dalla dipendenza alla gratitudine

appoggiarsi (1)Un bambino da quando nasce a quando diventa autonomo dipende da chi lo accudisce. Ha bisogno di sostegno, incoraggiamento, apprendimento fino a quando non impara a funzionare da solo. Il bambino ha dei bisogni impellenti, vuole. Tutto e subito.

Crescere significa sviluppare l’attesa.

Imparare a stare nel NO. Accudire da soli i propri bisogni, fisici e emotivi, pur restando un essere sociale. Nel processo di individuazione e separazione dalle figure genitoriali di cui parla Margaret Mahler, il piccolo conquista la capacità di sentirsi uno che si relaziona ad altro.

Se tale procedimento non evolve in modo funzionale l’adulto continuerà a comportarsi da bambino. Guardando fuori e aspettando che il soddisfacimento arrivi da Altro. Come un uccello affamato aspetta di essere imboccato. Sentendosi devastato se il nutrimento esterno non arriva.

Tutti necessitiamo di tutto e di tutti. Ma è il quanto che fa la differenza. E’ il sempre.

A volte si canta insieme, in altre circostanze si canta la propria melodia.

La vita relazionale è fatta di momenti di incontro e anche di scontro. Altre volte di stare soli.

C’è chi fugge con terrore questo stare soli con se stessi, e va in cerca di compensazioni, consolazioni esterne. Che possono diventare distruttive, pur di non voler prendersi cura di se stessi.

Chi sviluppa una dipendenza non ha appreso il passaggio dal noi all’io. Resta in attesa di un soddisfacimento esterno, rimane appoggiato a qualcosa per funzionare.

Il viaggio di ritorno è andare a ricostruire quella parte di sé che non riesce a fare “senza”. La persona che ha una dipendenza, da sostanza (alcol, droghe, cibo), da un comportamento (gioco, sesso, acquisti compulsivi, per citarne solo alcune), o da una persona non riesce a immaginarsi “da sola”. Non appaga mai il bisogno, poiché non sapendo restare nell’attesa, ha un senso di urgenza e avidità: vuole, di più, sempre, tanto, e subito. E non è mai abbastanza.

Questo stato di continua frenesia del non avere abbastanza, provoca un lento appiattimento della persona che si percepisce solo in termini di “con” mai “senza”. Non si riesce a staccare la spina. Incapaci di inter-relazionarsi, danzare e condividere e poi tornare a sé, stando dritti senza stampelle.

Si crea così una cecità verso ciò che già c’è. Si perde il senso del bello. Lo stupore, la meraviglia. L’incanto per la pienezza della propria vita percepita sempre vuota.

Il viaggio di ritorno a se stessi passa attraverso l’apprezzamento dell’esistenza in tutte le sue forme.

Coltivare il senso di gratitudine per quanto si ha, imparare il coraggio di stare ad osservare un fiume in silenzio, stupirsi di fronte al sorriso di un anziano o allo sguardo di un bambino.

Piccole cose, messe via dentro di sé portano a sentirsi pieni dal di dentro. E a stare dritti “senza”. Anche di fronte a un no.

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