Spotted significa scoperto, in gergo “beccato”, sorpreso a fare qualcosa. “Ti ho visto”.
E’ una prassi sempre più frequente creare pagine web, su Facebook, sui Social Network, dove una comunità relativa a un luogo preciso si ritrova a commentare fatti comuni. Anonimamente, per lo più. “NN di 5 Z sta con TT di 4 K”. E fin qui sembra ricalcare i rotocalchi di gossip che tanto vanno di moda. Il problema nasce se ciò che viene raccontato reca offese personali a persone facilmente individuabili.
La pratica sul web nasce un paio d’anni fa, da un sito dedicato a un campus universitario. Nato per commentare le ragazze, dove venivano avvistate (Spotted, appunto), ecc. Il fenomeno ha assunto subito una dimensione virale, e di frase in frase si può arrivare a casi estremi di cyber bullying, bullismo cibernetico, dove si sparla e si perseguita qualcuno di turno, “mettendolo in piazza” alla mercè di tutti, senza che la vittima in questione abbia la possibilità di controllare il fenomeno.
Un tempo ci si incontrava per scambiare due chiacchiere di persona, al bar. A scuola lo si faceva prima del suono della campanella, nell’intervallo, alle macchinette del caffè. Inevitabile commentare conoscenze comuni: “Sai che…”, “il Tale si messo con Tizia”, “Ma non stava con…”. “Hai visto come va vestita?” Frasi del genere scagli la prima pietra chi non l’ha mai pronunciata almeno una volta, da adolescenti, da adulti. Il pettegolezzo è da sempre esistito. Esso ha una sua funzione sociale in origine. La comunità si scambia informazioni sui componenti per proteggersi da eventuali persone che possono fare del male. A volte la diceria diventa essa stessa uno strumento per fare del male.
Nel caso della pagine Spotted dedicate agli istituti scolastici, l’intento in origine è goliardico. “Ci divertiamo a sfotterci in modo anonimo poiché Facebook lo rende possibile.”
“La calunnia è un venticello” ha scritto qualcuno, che può travolgere chi è fragile. La cronaca è piena di episodi che narrano di adolescenti etichettati, derisi, accusati di fatti pesanti. Alcuni non hanno la capacità di stare nello scherzo, in quanto la derisione va a innestarsi su una personalità non ancora definita, prima che si sia elaborata una vera abilità di introspezione. Per cui certe etichette possono fare molto male a un adolescente, che finisce per credere di essere ciò che gli altri gli dicono.
In tempi antichi non esistevano i media, solo un tam tam a voce. Quando qualche losco figuro si spostava da un luogo all’altro e la sua fama lo precedeva, la comunità poteva mettersi in guardia. La funzione sociale del pettegolezzo (Anolli, 2005) sta nell’avvisare, controllare, condividere e farsi opinioni comuni.
E’ in origine un comportamento adattivo per la specie. Inevitabile.
Il risvolto di questo processo può essere molto pericoloso e portare le persone oggetto del pettegolezzo a sentirsi escluso, nei casi più gravi calunniati, fatti oggetto di situazioni rischiose. Con grande dolore di chi è coinvolto. All’inizio in queste comunità virtuali si parte con una risata collettiva, poi piano piano qualcuno inizia a sentirsi preso di mira, e smette di ridere.
Senza voler adottare un’ottica repressiva che non funzionerebbe, senza cercare di arrestare il flusso delle cose, la rete è imprevedibile e inarrestabile, si può fare una considerazione comune.
Il fenomeno non va demonizzato, né proibito. Diventerebbe ancora più eccitante. Si può tuttavia informare chi partecipa a queste piazze virtuali dei rischi che si corrono effettivi e morali. Alcune procedure possono essere perseguibili per legge, come esporre immagini di minori non consenzienti, offendere e minacciare. Tali prassi possono essere segnalate alla Polizia Postale. Da un punto di vista esistenziale, è necessario coltivare una cultura dell’empatia, mettendo in guardia chi spregiudicatamente scherza su altri, quanto possano essere pericolose le conseguenze psicologiche per un adolescente.
Il diventare grandi significa capire quando è ora di fermarsi. Compito degli adulti aiutare gli adolescenti a comprendere il margine. L’accanimento di alcuni su altri indica un atteggiamento da branco che si coalizza col percepito “più debole”, se la cosa degenera. Un popolo civile ha il dovere di insegnare alle generazioni che arrivano il rispetto, la collaborazione, l’inclusione. Se il mondo adulto incoraggia comportamenti pro-sociali, se c’è un rinforzo dell’empatia a discapito della derisione, magari le offese si possono attenuare e la goliardia esprimersi in altri modi.
Chi amministra queste pagine può scegliere di non infierire, di scherzare su cose non offensive, salvaguardando se stesso e i membri delle comunità virtuale dall’eccesso. Ragionando su ciò che può ferire e offendere la persona, o su quello che diverte in modo sano e innocuo.
La risata è bella se è “con”. Se invece si ride “di”, quel qualcuno starà molto male.
Invitiamo i nostri figli a riflettere su quanto scrivono, sugli effetti emotivi che le parole, anche dette per scherzo, possono avere una volta affisse in un bacheca web.
Da sempre chi si sente invisibile urla più forte, per farsi vedere. Insegniamo alle nuove generazioni altre strade per farsi “vedere”, proviamo a capire cosa ci stanno dicendo dietro alle battute. E riflettiamo su cosa vogliono dirci con i loro “Spotted”. Magari scopriamo che vogliono soltanto essere visti e farsi sentire.
E per ora hanno trovato questo gioco per farlo. Che almeno resti leggero e non faccia male a chi legge.