La dipendenza affettiva: descrizione della modalità relazionale disfunzionale

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Copyright ©️ Irene Ferri

Cari Lettori, il post che segue rappresenta il fulcro di questo blog, pertanto verrà riproposto periodicamente.
Continuo a ricevere decine di lettere e alcune le pubblicherò, in forma anonima, con il permesso di chi scrive.  Io stessa rileggo questo post, ogni volta rammentando a me stessa particolari che tendo, anche se l’ho scritto io, a scordare.
Vi abbraccio e vi auguro una BUONA VITA!

Ameya

La dipendenza affettiva

Si soffre tanto per amore… Ma quando è vero? Talvolta ci ritroviamo a credere di amare, ma invece dipendiamo soltanto: l’amore diviene una droga, quando perde il suo vero significato…

***

“Io non vivo senza te”
Le canzonette sono piene di frasi che inneggiano all’indispensabile presenza dell’altro che dia un senso alla nostra vita. Già Platone ci definiva mezze mele in cerca di una precisa, specifica metà…

È socialmente accettato soffrire per amore, socialmente sostenuto ed auspicabile per perpetuare la specie, scegliere un partner, vivere in coppia, riprodursi. Precocemente ed in genere incessantemente si cerca un legame, una relazione, stabile, unica e che possibilmente duri per sempre.
È un comportamento adattivo ricercare un partner ideale per la riproduzione dei propri geni, meno adattivo è invece crearsi un’ossessione per quel partner. E ancora meno adattivo è morire per amore. Eppure accade. Succede di trovarsi invischiati in una relazione “tossica”, ossessionati dall’importanza dell’altro al punto da perdere di vista se stessi.
Qui non si parla più di amore. Entriamo nel campo della dipendenza: Love Addiction.

Dell’originario sentimento d’amore, dove il cuore batte più forte all’arrivo dell’amato, dalle commosse lacrime di fronte al primo mazzo di fiori, si passa all’incubo del distacco, alla sofferenza se l’altro non c’è. Dell’amore non rimane che un remoto desiderio, vagheggiato, struggente anelito.

Vi sono relazioni dannose, malate, mortali (Robin Norwood), da cui diventa impossibile staccarsi, fuggire.

Alcune dipendenze della nostra cultura (occidentale) sono codificate ufficialmente tra le patologie del DSM IV  (ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), classificazione multiassiale  delle malattie mentali.
Per tossicodipendenza si intende l’abuso di sostanze tossiche (o comportamenti, procedure) che danneggiano l’individuo dal punto di vista della salute, del lavoro, delle relazioni sociali, occupando quasi interamente il suo tempo, i suoi pensieri, le sue attività che vengono totalizzate dalla dipendenza impedendogli di svolgere una regolare vita.
Altre dipendenze sono sommerse, tuttavia dilaganti ed altrettanto invalidanti. Al punto che in America sono stati coniati neologismi combinati con la parola ALCOHOLIC (che definisce l’alcolista). Da qui Sexaholic, Workaholic,  Shopaholic, Foodaholic, Sportaholic.  Oppure combinate con la parola Addiction (DIPENDENZA) da cui Love Addiction, Net Addiction, Gambling Addiction (che definisce la dipendenza dal gioco d’azzardo).

È evidente che alcune dipendenze hanno esiti più nefasti, talune sono socialmente più tollerate. Tra queste la più silente resta quella affettiva.
Non dà effetti collaterali eclatanti, non fa molto rumore, se non nella mente di chi ne è posseduto. Poiché quando l’altro diventa l’unica ragione di vita, anche a scapito di se stessi, si è in preda totalmente all’ossessione.
Il primo pensiero del mattino, l’ultimo della sera.
Sembra una frase da cioccolatino. In realtà nasconde una trappola feroce, quella dell’abnegazione malsana di se stessi, per rincorrere l’altro. Perché quando c’è dipendenza affettiva non si è ricambiati.
Vi è una relazione. Un legame fortissimo, ma il copione segue uno schema preciso che non è quello della reciprocità. Uno insegue, l’altro fugge. Lasciando a parte il banale luogo comune in cui si dichiara che “in amor vince chi fugge”, tale schema diventa più simile al bracconaggio, all’inseguimento della “preda” fino a sfociare a volte nella molestia (stalking).

Uno rincorre, l’altro si fa rincorrere.
Uno vuole, l’altro si nega.
Uno dice “ho bisogno di te” e l’altro si volta da un’altra parte.

Apparentemente uno è dipendente, l’altro “anti-dipendente”. In realtà si tratta di una vera “folie à deux”. Entrambe le mezze mele hanno bisogno dell’altra metà per esistere, per poter agire il proprio ruolo.
Quando l’altro diventa più importante della nostra stessa vita non è amore. È dipendenza. È PATOLOGIA.

Il bisogno di inseguire nell’uno è speculare al bisogno di rifiutare nell’altro. Bisogno di fondersi e bisogno di differenziarsi (Klein) sono entrambi veri e agiti. Colui che fugge è punitivo, negandosi inconsciamente castiga l’altro, in cui vede forse il genitore “cattivo” che non ha soddisfatto i suoi bisogni quando era necessario. É interessante osservare però che se per caso colui che fugge si ferma e diventa all’improvviso accettante e bisognoso i due ruoli si invertono, colui che prima inseguiva implorante inizia a prendere le distanze, diventa a sua volta fuggitivo… Ma la danza resta uguale.

Questo tipo di relazione è tipica nelle coppie dove uno dei due è alcolista. L’altro si erge quindi a “salvatore” (Norwood). In realtà sono entrambi “alcolisti”, uno dipende dalla bottiglia, l’altro dipende da colui che dipende dalla bottiglia. A parte il complicato gioco di parole, è una triste realtà la condizione di quelle donne che non riescono a lasciare il marito alcolista, fanno una vita di umiliazioni ed infelicità, si immolano sull’altare della devozione. 

Prometto di esserti fedele sempre. In salute e malattie fin che morte non ci separi?”
La causa di tali legami non ha radici religiose. Ma psicologiche! L’altro diventa la bottiglia del non-alcolista. Salvarlo diventa lo scopo della sua vita. Nobile intento, in apparenza. Impresa impossibile, tempo sprecato, inutile lotta in realtà. Nessuno potrà mai cambiare o smettere qualcosa perché glielo dice un altro, ma solo e soltanto se lo vuole nel profondo del suo essere.

Chiameremo per convenzione la persona che vuole salvare l’altro il co-dipendente.

Identikit del co-dipendente

Co-dipendente è colui che controlla, vuole cambiare l’altro a suo piacimento. A fin di bene, per carità! Bere fa male alla salute, giocare d’azzardo rovina la vita a se stessi e alla propria famiglia, dipendere dal lavoro porta via tempo per esistere, vivere di sport impedisce una vita normale ecc. ben lo sanno i partner di costoro. I quali si armano di pazienza e coraggio e al motto di “io ti salverò” (io ti aggiusterò) partono per la loro crociata, strada costellata di spine… il co-dipendente è convinto che l’altro abbia qualcosa da aggiustare. Ma non solo, è anche convinto di poter risolvere i problemi che affliggono l’umanità e il partner in nome del suo “amore”. Il co-dipendente si crede onnipotente, più forte dell’alcol, del vizio, dell’altra moglie, della suocera ecc. non importa a chi ha dichiarato guerra. È far la guerra che conta, perché VINCERE è l’obiettivo, vincere per riavere l’amore dell’altro tutto per sé. Pura mera illusione.
Lo schema cognitivo del co-dipendente è molto semplice, obbedisce al mantra “Se solo non ci fosse…
l’alcol,
l’altra donna,
il gioco,
il calcio,
la cocaina,
e così via..
IO LO POTREI AVERE TUTTO PER ME… E FINALMENTE SARÒ FELICE
”.

Così l’altro diventa qualcuno da convincere, carpire, controllare, guidare, curare, guarire, possedere, sistemare, ecc, ecc.
Perché lo si vuole TUTTO. E si sente che lui, lei non c’è… L’altro è TUTTO preso da altro… che sia la droga, l’alcol, il lavoro, il gioco o il sesso anonimo e compulsivo.
L’altro è altrove.
E il co-dipendente è tutto incentrato, votato, devoto, perso, focalizzato totalmente sull’altro.
Quindi anch’egli è altrove. Entrambi hanno una cosa in comune. Non ci sono per loro stessi, sono incapaci di stare, ascoltare ed accudire i propri bisogni senza ricorrere a sostanze o persone esterne.
Entrambi sono incapaci di stare in una relazione sana: uno, intero, di fronte all’altro, intero.
Sono entrambi mezzi. E cercano di riempire il proprio buco vuoto con ALTRO da sé. Nel caso dell’alcolista, tossicodipendente o “aholics” vari, facendo ricorso ad una sostanza o un comportamento nocivo, nel caso del co-dipendente cercando di riempire la propria esistenza con l’esistenza dell’altro che ha “il problema da risolvere”.

È qui l’inganno, la distorsione. Torniamo a Platone. Egli si sbagliava. Non è la metà su cui insistere, ci ha proposto un’immagine falsata. È sull’essere UNO il segreto, il sentirsi interi non ci porterà a vagare in cerca di qualcosa o qualcuno che ci riempa.
Questo bisogno di sentirsi uno ha origini remote, nel grembo materno.
Lì facciamo l’esperienza di sentirci un tutt’uno. Fusi, accuditi, nutriti, contenuti, in simbiosi. Alla nascita creiamo un legame di attaccamento col care-giver (Bowlby), se tale legame è soddisfacente il genitore buono verrà interiorizzato (Winnicott) e avremo dentro di noi la una presenza calda, amorevole, capace di farci tollerare la frustrazione, l’assenza, il distacco (Klein), il no (Bion).
Se questo passaggio non è avvenuto restiamo con una spina in mano e cerchiamo una presa a cui attaccarci per funzionare, per sentirci di nuovo UNO. Non tutte le prese funzionano. Solo quelle che ci portano a risentirci fusi simbiotici. Nasce così un legame struggente, totalizzante. Da cui presto uno dei due sente il bisogno di fuggire perché si sente inghiottito dal bisogno dell’altro.

Inizia la danza, che diviene dramma e spesso sfocia in tragedia.
Il distacco , quando l’altro va a bere, a drogarsi, a fare altro, viene vissuto come intollerabile, insopportabile, la mancanza, l’assenza, la nostalgia diventano devastanti.
L’altro diventa la droga del co-dipendente, la possibilità di sentirsi uno.
Ma deve fare i conti con il distacco , la fuga dell’altro che rifiuta, si nega, si rifugia nell’alcol, o altrove. Perché a sua volta si sente risucchiare dal bisogno infinito ed inappagabile del partner.

A vuole B, ne ha necessità estrema, inizia il tunnel.
B è preso da un vizio,o da altro, non sa prendersi cura nemmeno di sé ed è chiamato ad accudire il co-dipendente, che insiste per trascinarlo sulla retta via, così potranno vivere felici e contenti.. B inizia a fuggire, a ribellarsi agli ordini e ai controlli di A che si fanno sempre più pressanti,incalzanti, esigenti. B può diventare sempre più distante, ribelle, violento, anafettivo, crudele, o semplicemente assente, inizia a fuggire, non regge alle richieste, al controllo, non vuole essere aggiustato. Tuttavia poi si riavvicina, è inesorabilmente attratto da A, ne ha altresì bisogno, di quell’attimo perfetto di unione, illusorio tuttavia vitale, indispensabile ma tossico..
Vittima e carnefice, l’uno con il bisogno estremo dell’altro.

Si innesca così una lotta senza fine. Poiché in questa storia non c’è libertà, non c’è rispetto, non c’è amore. C’è bisogno, a volte violenza, lotta per il potere. C’è fame, e l’altro viene fagocitato, viene vampirizzato (Abraham) ma mai visto per ciò che è in verità.

Come se ne esce?

Come da una qualsiasi altra tossicodipendenza. Ricostruendo la propria identità, autostima, imparando ad essere UNO senza aggrapparsi, riempiendo la propria esistenza di se stessi, con l’amore e la cura di sé. Soddisfacendo i propri bisogni, prendendosi la responsabilità di accudirsi, diventando genitori buoni di se stessi.
La creatività è la strada che porta ad esprimere  ciò che siamo.
Crearsi una vita piena di cose per noi stessi, i cui possiamo occuparci e rispondere in prima persona è un terapia quotidiana di cui prendersi carico.
É un cammino lungo con frequenti ricadute e giornate buie, ma piano piano è possibile imparare a contenersi, a prendersi cura di quel bambino nascosto dentro. Solo così potremo avvicinarci all’altro e non aggrapparci, trascinandolo in un abbraccio soffocante in discesa verso gli inferi.
Si può imparare a stare bene con se stessi, sentirsi completi, esseri armoniosi e creativi, amandosi ed accettandosi pienamente per ciò che si è e si può.
Nasciamo soli, moriamo soli , a volte ci incontriamo con l’altro, ma poi dobbiamo essere in grado di tornare soli, occorre imparare ad amare questa condizione e farne una ricchezza, per questa avventura affascinante che è il viaggio nella conoscenza di sé.
È da qui, solo da qui che possiamo davvero incontrare amare ed includere l’altro.

As long as we are in need of the other we are not able to be alone and enjoy the immense riches aloneness gives. Our center is the place where only we can go, where we find our fulfilment. “But real love is not an escape from loneliness, real love is an overflowing aloneness. One is so happy in being alone that one would like to share – happiness always wants to share. It is too much, it cannot be contained; like the flower cannot contain its fragrance, it has to be released.

Osho

Finché abbiamo bisogno dell’altro non abbiamo la capacità di stare soli e godere l’immensa ricchezza che lo stare soli fa scaturire. Il nostro centro è il luogo dove solo noi possiamo andare, luogo dove troviamo il nostro soddisfacimento. “Ma l’amore vero non è una fuga dalla solitudine, l‘amore vero è uno stare soli che trabocca. Uno è così felice nell’essere con se stesso che vorrebbe condividere. La felicità vuole sempre condividere. È troppa, non può essere contenuta, come il fiore non può contenere la sua fragranza, deve essere emanata”.

Osho

9 commenti su “La dipendenza affettiva: descrizione della modalità relazionale disfunzionale”

  1. E' da un po' che non passavo di qui. Pochi giorni fa, ero al lavoro e con due colleghe entrambe sposate si parlava di cos'è per noi il senso della vita. Loro insistevano che è trovare l'altra metà della mela, che pensano appunto di aver incontrato. Io ho risposto loro che è bello avere un uomo accanto ed io lo voglio tanto, ma non penso che chi resti single abbia buttato la sua vita e non le abbia dato senso. Per me non siamo metàalla ricerca di un'altra metà che le corrisponda. Il mio senso della vita forse è conoscere sé stessi.
    Loro, molto molto chiuse al dialogo, insistevano che sbaglio. Avrebbero almeno potuto dire che la vedono diversamente, invece no, erano drasticissime.
    Avere un uomo accanto non è facile… ma è bello, per carità. Però se una persona non dovesse trovarlo per tanti motivi, non penso che avrebbe avuto una vita senza senso.
    Poi leggo te ora e… grazie : )
    Un abbraccio, Ameya!

  2. @ #4:
    Mi sembra di aver letto la MIA storia.
    Non sei l'unica, capita a tante altre. E come tante altre, puoi farcela anche tu a uscirne. 
    Quando si tocca il fondo si può solo risalire. Parti da te stessa, cambia tu. 
    Ti consiglio di leggere il libro di R. Norwood, Donne che amano troppo.
    Un abbraccio!    F.D.T.

  3. Oggi è un altro di quei giorni. Quelli in cui vorrei urlare per ore dall'ansia che mi toglie il respiro, mi fa scoppiare la testa, mi fa piangere ore, mi fa passare la voglia di fare ogni cosa. Poi so che basterà un messaggio, una chiamata sua a farmi tornare magicamente serena. Un messaggio o una chiamata in cui mi scuserò di aver esagerato e di aver sbagliato io.Ma ormai sono quasi 4 anni che  vado avanti cosi e nonostante i miei 22 anni mi sento come una che non ha più niente davanti. Mi sento fregata,senza speranza,nonostante la consapevolezza pungente che quel che ho tra le mani non è niente,non mi fa bene e non mi porterà di certo nulla di buono.Nonostante lo odi,lo rifiuti,lo detesti continuo a volerlo.Continuo a cercarlo,a chiamarlo,a chiedere le sue attenzioni,ad aiutarlo,sostenerlo,consolarlo in cambio di rari e brevissimi ricambi d'amore.Il problema continuo a sentirmi io.Me lo dice lui,me ne sono convinta io.Perchè lo stresso,lo tartasso,gli piango al telefono per ore.Questa storia non è mai andata bene.Mai.Continui litigi,continui tira e molla.Ogni volta però torno a chiedergli di stare con me e lui dopo un pò di dubbi,accetta.Nonostante non ci sopportiamo più a vicenda si continua a stare assieme e non so per quale assurdo motivo questa tortura vada avanti.Ho cercato mille volte di dire basta ma non ce la faccio.Ne abbiamo anche parlato tranquillamente ma si ritorna sempre allo stesso punto.E sottolineo che non è lui a chiedermi di continuare a stare assieme,sono io che glielo supplico perchè il solo pensiero di non sentirlo più,di non vederlo mi fa sentire morta.Ho pensato che continuo a starci perchè voglio convincermi che questa storia può funzionare,che lui si accorga di quanto sono bella e preziosa per lui,di quanto mi ami..ma so che non succederà mai perchè il fatto che lui non mi ama l'ha sottolineato da quando ci siamo conosciuti.Ho finito col convincermi che, come lui dice,dipenda dal fatto che all'amore non ci creda,che non è un dirsi ti amo che conta…e tutte quelle balle li.Perchè sono cosi?Perchè gli do il diritto di sconvolgermi i piani,di rovinarmi le giornate,di farmi dire quello che vuole,anche che sono stupida e rincoglionita,di farmi amare a metà,di mettermi in secondo piano?Perchè non sono una di quelle donne forti che mette in chiaro le cose,che si fa desiderare,che tiene la testa alta,che non si fa mettere in piedi in testa…una di quelle che vorrebbe anche lui?Lui non mi ama perchè sono debole,disponibile,comprensiva e sempre presente.Non è cattivo,non è infedele…semplicemente non mi ama.Cos'è allora quella cosa che ancora tiene in bilico questa storia?Tutti conoscono come vanno le cose tra me e lui,i miei genitori,i miei amici ma dopo continui tentativi di aiuto,consigli e spronamenti anche gli altri si sono stancati di credere in me e io non ne parlo più.Tutti pensano che sono stupida come dice lui perchè continuo ad accettare qualcosa che nessuna donna merita.Come dargli torto?
    Vorrei solo un fortissimo abbraccio.

  4. Un post bellissimo, chiaro, ricco di spiegazioni   che aiutano a capire e capirsi.  La mia ricerca si  sempre improntata sull'essere completa  e libera, perchè so che solo così si può amare.
    Perchè amare è liberà, scelta e condivisione.

    Capisco che tu ami ciò che fai, conosci e vivi, e lo dimostri con il  dare e offrire le tue conoscenze generosamente…grazie Ameya, grazie davvero!
    Buona Pasqua

    Un abbraccio
    maria

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