Sono le 8.07 di una mattina di scuola qualunque e Martina, 16 anni, terza superiore, ha gli occhi rossi, nasconde qualcosa dietro lo zaino sul banco. E’ il cellulare, dice, non lo posso spegnere stamattina prof. Ho litigato col mio moroso e se lo spengo si arrabbia. Devo messaggiare con lui.
Dopo dieci minuti arriva la madre di Martina che firma per riportarla a casa. Sa, hanno litigato e lui non lascia in pace nemmeno me. La tormenta, vuole sapere sempre dov’è.
Esce Martina sotto gli occhi sbigottiti della classe.
Prof. lo sa che il suo moroso l’accompagna ogni giorno a scuola e resta a guardare che lei entri? Lei però non può rivolgere la parola a nessuno. Sa, è geloso.
“Io non vivo senza te”
Prima dell’amore c’è un’idea sull’amore. La ritroviamo nella letteratura, nelle canzoni, nelle scritte sui muri. “Amore fai presto io non resisto, se tu non arrivi io non esisto”. Si cresce con quell’idea lì di essere una mezza mela, e se non si trova l’altra metà si è fritti. Platone ci ha fregati. Chissà se voleva dire proprio questo, lui. Ma così l’abbiamo capita. E allora fiumi di teorie sull’amore, sul per sempre, e sul sei mia.
Le principesse nelle favole aspettano infiocchettate il principe e una volta arrivato sarà garantito il vissero felici e contenti.
Peccato che talvolta tra le mura domestiche accade che il principe per una strana magia a rovescio si trasforma in un rospo velenoso. Dai baci mortali.
Sotto gli occhi di una società che sa, vede, ma non ferma.
Il comportamento violento è adattivo, ferale e permetteva la sopravvivenza in contesti atavici. L’uomo è dotato di un sistema di allarme che si attiva di fronte al pericolo e gli permette attacco e fuga.
Leoni e belve non minacciano più l’uomo all’esterno. Tuttavia per alcuni i mostri feroci sono rimasti impigliati dentro e sembrano scatenarsi solo nella relazione a due, proprio tra quei due che all’inizio si sorridevano così tanto, e possono condurre a omicidi spietati, dove nella stragrande maggioranza dei casi lui finisce per uccidere lei.
Femminicidio.
Casa dolce casa?
Ma come, non si amavano così tanto?
Amore amaro all’inizio dolce, poi uccide. Ma perché e come ci si arriva lì?
Da piccoli segni che ci sono molto prima.
Intanto le idee collettive, le rappresentazioni sociali dell’amore di coppia. Quel mare culturale in cui si è immersi senza accorgersi, che si respira e diventa la norma. Viene legittimata una certa cultura del possesso dentro alla coppia. Che poi non viene spiegato bene. Mio/mia fino a che punto? Dove inizio io e finisci tu? Perché la favola di una cosa sola diventa una trappola, per alcune coppie solo limitante nella libertà, per altre un capestro.
“Sei mia e niente di più”, si canta. Questo mio sconfina i confini, si insinua tra i due. Dapprima lusinga. Si scambia quella insistenza per attenzione, quel bussare incessante per presenza. In realtà quel tanto, che in principio sembrava bello, quando opprime è tardi. Le radici della relazione sono già infestate.
Bisogna dirlo nelle scuole, alle bambine che stanno per diventare donne. Insegnare a riconoscere i segnali premonitori di una relazione distorta.
Dire che troppi fiori sono un indicatore di una corrente affettiva che esonda alla prima piena, alla prima lite. Troppi messaggi riempiono lo spazio e il tempo. E all’inizio ci si sente pieni di relazione. Ma poi il bisogno di contatto e di vicinanza diventa controllo, soffocante, al primo no. Se l’ansia da distacco è sempre maggiore, se non basta mai, se si dev’essere reperibili sempre, qualcosa non va. Se viene proibito lo spazio dell’Io a scapito del noi non è amore. E’ un braccio di ferro, illusione di possesso che nasconde un’insicurezza patologica in chi lo vuole esercitare. E se alza le mani, promettendo, poi, di non farlo più, non ci sono scusanti. Dire non l’ha fatto apposta, non voleva, sono stata io, scusarlo, non serve. Lo rifarà. Al prossimo no.
Perché è proprio lì il primo inghippo. Il no manda fuori di testa chi non sa stare nella frustrazione.
Se all’inizio una cultura femminile si vanta “ che lui non vuole che io”, perché crea un’illusione di appartenenza, quel “lui non vuole” viene accettato con un sorriso compiaciuto, quasi fiere della sua gelosia, perché si è cresciuti con intorno una credenza che un po’ di gelosia ci vuole, ed è segno che lui ci tiene, se non ci tenesse… E gradualmente il legame si trasforma in un inferno, in una galera.
E se si dissente con quel tipo di uomo lì, sono botte.
Lui, il frustrato, non si può permettere di non vincere. Di sostare ai margini di un ipotetico rifiuto. Tira giù il muro pur di non sostare davanti a una porta chiusa. E lei che all’improvviso non è più felice di tanto controllo, di tanta ossessione, inizia a ribellarsi quando è tardi. Quando i cordoni di una relazione malata si sono attorcigliati in un garbuglio confuso altalenante tra “o fai come ti dico io o t’ammazzo” e “scusa non lo faccio più”.
Perché, poi, le donne non se ne vanno?
Perché nessuno glielo insegna anche a scuola che l’amore non si fa così. Non si dice abbastanza che prima viene il rispetto di se stesse, che non è necessario subire, farsi maltrattare. Che prima ci si deve amare, stimare, coltivare una vita con interessi propri, poi si trova un fidanzato.
La relazione con se stessi non viene mai insegnata, nemmeno a scuola. E forse da nessuna parte in questa società liquida, dove tutto va, scorre, in fretta e non ci si ferma a riflettere con se stessi. La frequentazione del silenzio, dei propri chiaroscuri, viene aborrita. Il vuoto spaventa, dalla solitudine si fugge, e quelle ragazze iniziano a pensare che piuttosto che restare da sole, fuggire dall’orrore, denunciare quando necessario, è meglio stare zitte e ingoiare lacrime e vergogna.
Perché questa escalation di pseudo affetto e violenza confonde. Soprattutto chi non ha basi solide, idee chiare su cosa è o non è rispetto e amore. La relazione si caratterizza e si sclerotizza su questi picchi che portano dagli inferi al paradiso. Dopo la tempesta arrivano la luna di miele reiterata, pioggie di regali, riconciliazioni e promesse.
E lei si interroga su dove ha sbagliato, su cosa ha detto per scatenare la bufera, forse è colpa sua, forse se lo merita.
Non fa niente. Passerà. Vergogna, paura, ansia. La vita psichica esplode.
Aggiustare, aspettare, sperare. Crederci.
Coprire, salvare.
Morire.