So-stare in solitudine? La paura di stare da soli.

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John Bowlby sostiene che nello sviluppo l’individuo interiorizza uno stile relazionale a seconda del tipo di attacamento che egli acquisisce con le figure accudenti.

Se lo stile di attacamento è sicuro, il bambino riuscirà a interiorizzare questo legame che egli percepisce come rassicurante, protettivo. Il bambino con stile sicuro esplora l’ambiente, si avventura per il mondo, prende rischi, in quanto sente che alle sue spalle vi sono sponde sicure che lo conterranno, una base sicura a cui tornare.

Quanto più saldo è questo tipo di legame, tanto più egli oserà fare esperienze.

Accade che a un determinato momento durante le tappe evolutive, avvenga l’interiorizzazione di questo legame, che diventa un modello operativo interno relazionale nell’età adulta. Winnicot sostiene che, se il bambino ha avuto una figura accudente “sufficientemente” buona, egli interiorizza questa figura protettiva, e si sentirà al sicuro anche stando da solo. Il bambino che gioca da solo in presenza del genitore fa prove tecniche per apprendere a stare con se stesso, fino a quando egli, pur non vedendo il genitore, saprà che torna e riuscirà a tollerare la frustrazione dell’assenza, come direbbe Bion.

Egli apprende a sostare nello spazio vuoto, dove non c’è nulla che arriva dall’esterno. Dove sembra che non stia accadendo nulla. E’ nell’allenamento a questo momento di non- fare, nel coltivare la presenza a se stessi  , che si impara a nutrire l’essere. Momenti di distacco dall’Altro sono fondamentali.

Eshter Buchholz, una psicanalista americana, sostiene l’importanza fisiologica per i circuiti neuronali del cervello di disconnettersi dalle stimolazioni esterne. Il bisogno di silenzio è vitale, permette alle cellule cerebrali di recuperare, altrimenti il circuito resta perennemente attivato, acceso, pena l’esaurirsi delle risorse. Riuscire a spegnere tale circuito, dargli il tempo per staccare dagli stimoli è un bisogno vitale. E non è sufficiente il sonno. Nel sonno si attivano altri processi. E’ necessario fare questo recupero nella veglia.

Succede però che a tale operazione non siamo abituati, non esiste una educazione alla solitutide. Nella lingua inglese la parola solitudine può essere tradotta in due modi: “loneliness” termine con una connotazione negativa,  che indica il sentirsi soli e di conseguenza infelici di questa condizione, e “aloneness” sentimento che indica la capacità di stare da soli, con se stessi, e implica pertanto una competenza. A tale pratica la società occidentale non abitua i propri bambini. Tutta l’attenzione è rivolta verso la socializzazione, a volte inseguita a tutti i costi.

Lo stare con se stessi non è visto come una abilità da coltivare, nello sviluppo. Il bambino che gioca da solo viene visto con diffidenza, preoccupazione (Cigala, Corsano 2004). Viene iperstimolato a connettersi. Si rischia così di restare sempre accesi, collegati, e non riusciamo mai a staccare la spina. Così da adulti la solitudine viene vista come un abisso in cui non si è in grado di sprofondare.

E si fa di tutto per evitare l’incontro con se stessi.

Non avendo interiorizzato una base sicura, un modello operativo interno che permette di sentirsi al sicuro e “a casa” dentro se stessi, si cerca un palliativo fuori. Il momento di sosta nello spazio vuoto viene temuto, aborrito, evitato con ogni mezzo. In realtà è proprio in questo iato, nell’incertezza, nello sconosciuto che si spalancano le infinite possibilità dell’essere.

E’ nella meditazione che da adulti si riscotruisce questo spazio vuoto, lo si esplora e si apprende a non fuggire, a so-starvi. Nel silenzio, solo nel silenzio completo, si può conoscere lo spazio vuoto e sprofondarvi con coraggio, un salto nell’abisso di sé.

Un viaggio affascinante quello della conoscenza di se stessi, da compiere stando da soli, ritirando la propria energia, come una marea dell’oceano che a volte incontra e lambisce la spiaggia, per poi ritirarsi, ad ascoltare il proprio ritmo, la propria, unica, canzone.

Dott.ssa Ameya G. Canovi

 

 

 

35 commenti su “So-stare in solitudine? La paura di stare da soli.”

  1. @Lory sembri non aver colto la diffrenza tra loneliness e aloness, disitinzione della lingua inglese… ciò di cui parli tu, di cui parla Bauman è la la solitudine negativa, un sentimento di seprazione e esclusione. Mentre nel saper STARE, ESSERE DA SOLI non c'è seprazione  comunione con il tutto..a mio avviso..

  2. Se posso dire la mia…imparare a stare in solitudine e stare bene…..belle parole ma non è così semplice. L'essere umano ama confrontarsi e stare con gli altri. Stare poi da solo qualche momento è salutare ma credo anche che stare sempre soli non faccia bene. Molte persone patiscono proprio perchè non riescono a trovare confronti. Tutto fugace, veloce, come ha scritto Baumann nel libro "l'amore liquido".  Ci sono argomenti veramente interessanti qui grazie  Lory

  3. Molto interessante il tuo blog. Ci sono varie momenti, che chiamerei appuntamenti, in cui la vita ci apre una finestra su noi stessi, ci offre un'opportunità per compiere questo viaggio che descrivi così bene. Ma bisogna raggiungere una maturità, un bagaglio di esperienze e di dolore, di errori, chiamiamoli come vogliamo, perché a un certo punto decidiamo di imboccare quella porta che, in fondo, per noi era rimasta aperta.Sereno WE e grazie dell'ospitalitàNM

  4. Sfiorare quella pietra a forma bizzarra…Un pò bizzarra  ma niente male no?C'è amore in te, e l'amore quando c'è si respira, e ti senti sereno ed in pace anche bevendo un semplice caffè anche facendo la doccia..anche studiando un buon libro..Certo prendersi per mano, baciarsi gli occhietti sarebbe decisamente meglio..Ma…qualcuno dice che almeno per il momento non possiamo che accontentarci di questo..Anche se tutto questo è solo la minimissima parte di ciò che potrebbe essere..Qualcosa di vero e di terribilmente bello, tanto d'aver paura quasi di viverlo..e tutte le volte ci si ritrova ancora a prendere del tempo tra un respiro e l'altro..Ah..se solo la vita potesse ascoltarmi..

  5. @La meditazionenon è altro che essere PRESENTI A SE STESSI, IN OGNI MOMENTO…caffè, doccia, natura, malattia, ogni cosa che ti accade. ora.

  6. > sono un tipo portata alla interiorizzazione, mi basta riempire la mia vita di sensazioni, di letture, di un panorama, del fruscio del vento…Se ricordo bene, lo zio spiega (non so se era Con te e senza di te o dal Sesso all'eros cosmico ) che la meditazione è anche l'osservazione, interna, il fruscio del vento, le gocce di pioggia e rugida sull'erba, il profumo di caffè torrefatto per quel vicolo, ascoltare il proprio dialogo interno, sfiorare quella pietra a forma bizzarra…Ahahah, GVB che spiega alla tata cattolica come nascono i bambini.Robe da matti. E pensare che 'sta ignoranza mistificazione, questo inquinamento contro le menti è il fondfamento principale dei cattocattolici e di tutte le religioni della mano destra.

  7. ho letto il tuo post e penso che tale madre del poverino abbia qualche seria turba mentale. e la farà venire al figlio.Io ho sempre vissuto serenamente con discorsi di sesso e altre cose con i miei genitori. tant'è che la mia tata cattolica  un giorno arrivò per spiegarmi da dove venivano i bambini…(li portava gesù bambino) e le spiegai per filo e per segno come in realtà era la faccenda. avrò avuto circa 8 anni suppergiù.comunque il discorso è diverso. molto. La sessualità ne è solo una parte, poi c'è  il corpo ma secondo me tutto parte da un discorso con se stessi.e certo come dice VMS (veramestessa) è anche un discorso caratteriale. però poi esiste forse un modo standard di stare da soli? Non penso, l'importante è non aver paura di ciò, secondo me. Ognuno poi ha il suo modo di stare con se stesso.

  8. Concordo con te, Ameya ma,  per esperienza diretta con i miei figli,  credo che nel "saper stare da soli"  incida anche una componente caratteriale.  Certo, un percorso meditativo che faccia riscoprire lo spazio dentro di se e che aiuti a comprendere la ricchezza della solitudine, aiuta… ma c'è che ci riesce di più e chi invece, è meno  portato.Io,  dal canto mio,  sono un tipo portata alla interiorizzazione, mi basta riempire la mia vita di sensazioni, di letture, di un panorama, del fruscio del vento… di tutto ciò che ho già a portata di mano.. anche essendo da sola.Ti lascio dicendo ciò che ho sempre detto ai miei due figli… "Tu non sei mai solo,  sei sempre in compagnia di te stesso"Un abbraccio.

  9. GVB1978 wrote:> sin da piccoli veniamo educati ad avere unFin da piccoli veniamo educati ad avere un [segue troncatura]Perché (l'ho scritto anche a casa, un episodio recente, un micro caso studio) molto spesso, troppo spesso, gli adulti creano problemi nei piccoli.I circoli si ripetono, i problemi si perpetuano.

  10. GVB1978 wrote:> sin da piccoli veniamo educati ad avere unFin da piccoli veniamo educati ad avere un [segue troncatura]Perché (l'ho scritto anche a casa, un episodio recente, un micro caso studio) molto spesso, troppo spesso, gli adulti creano problemi nei piccoli.I circoli si ripetono, i problemi si perpetuano.

  11. che bello trovarsi in un posto e ricevere tra le mani una guida di viaggio…sembra quasi una di quelle cose che qualcuno chiama segno…

  12. eh musicalmente me sa che siamo agli antipodi 🙂 vasco non lo sopporto proprio. 😀 un tempo ascoltavo david bowie ma mo pure lui mi ha depresso alquanto.

  13. certo GVB, continuo a pensarla come te, e se ci pensi torniamo un po' a quello che riferivo in un post precedente su Vasco Rossi, che proponeva di insegnare sin da bambini alle persone a stare soli, proprio per migliorare il rapporto con sé stessi (grande Vasco, prima non mi piaceva granché, ora mi ritrovo a sentire le sue canzoni in maniera diversa: non si finisce mai di imparare:-)H.

  14. grazie e ti dico anche perchè:sin da piccoli veniamo educati ad avere un buon rapporto con il prossimo, non con noi stessi. Peccato che un buon rapporto con il prossimo passi innanzi tutto da un buon rapporto con noi stessi. senza questo la dipendenza è assicurata.

  15. Fino ai 20 anni avevo qualche problema con lo stare sola. Cercavo sempre gente, amici, o mi mischiavo in una disco per non sentirmi sola. Ma uscivo sentendomi sola perché il problema non era essere soli, ma il sentire una mancanza interiore.Pochi anni dopo ho assaporato il benessere dello stare soli. Che bello non dipendere da quello che ti dice cosa fare, che bello ascoltare se stessi e soprattutto saper vivere con se stessi. Che bello coltivare i propri interessi da soli!Ma non esageriamo, non sto affatto dicendo che é bello fare gli eremiti . La vita sociale è importante, ma prima…amare la solitudine, soprattutto nei momenti dove si affrontano seri problemi e nessuno può trovare una risposta, se non noi stessi :)Secondo me, chi non sa vivere solo, non è pronto per la coppia. Se due si mettono insieme per solitudine, ne esce una bella….dipendenza…E siamo di nuovo lì…solito tema…Mi accorgo di quanta gente dipende dagli altri. Sto cercando di staccarmi dalle ventose ;P.Una dolce notte :))Nadia

  16. concordo,però c'è anche un modo per uscirne. Io che delle mie figure genitoriali potrei farne volentieri a meno, che mi hanno dato un modello totalmente distorto, ne sono uscita e posso parlare di loneliness invece che aloneness.anzi di sta loneliness ne sono assai gelosa. 😀

  17. Cara Ameya quello che dici è giusto e il tuo blog è per me fonte di continua riflessione oltre che di incoraggiamento a conoscersi…Ciò nonostante qualche volta confesso di avere una grande paura di isolarmi, di finire per innamorarmi troppo di questa condizione in cui IO sono l'unica (meglio: la prima) persona cui devo dare conto perché tutto parte da me…dopo una relazione finita assai male (naturalmente trattavasi di una deleteria co-dipendenza) ho cominciato un cammino irto (terapia, autoaiuto, ri-centratura su me stesso e ridefinizione del proprio ruolo) e penso di aver raggiunto risultati importanti. Però a volte ho l'impressione che raggiunta una certa stabilità uno finisca (quanto meno corra il rischio) di chiudersi un po'…(uhm, mentre ti scrivo mi sembra di trovare la risposta da solo, evidentemente anche il solo dare adito a un interrogativo simile forse è il sintomo che ancora devo lavorare su di me, e far sì che questa solitudine non più mia nemica ora si riallacci al fluire della vita…)comunque grazie per lo spunto, visitare questo spazio è sempre un piacereH.

  18. @Utente anonima secondo te se non credessi che si DEVE apprendere prima a stare con se stessi, e POI con l'alro avrei sritto pagine e pagine in questo blog?Hai letto quello che è scritto qui?

  19. Secondo te Ameya si può imparare a stare soli senza paura?Ti chiedo questo prechè sono sola dopo alcune relazioni andate male tra cui una separazione e mi sono resa conto che è la prima volta che rimango sola senza una persona. Mi spaventa un po' e a volte sto male perchè sento la solitudine come una peso.

  20. @Titti la realzione ocn gli altri è una danza, non è un viaggio di sola andata. Ora si va verso , ora si torna a se stessi. Come un pendolo. La disfunzionalità è solo una polarità…

  21. La paura della solitudine porta ad unirsi in branco, come gli animali che vogliano difendersi dai predatori.Un amico mi disse che si ubriacava per non sentire il peso della solitudine.Ciò che con la conoscenza di se è forza, può essere uno spaventoso nemico quando non lo si conosce.

    Questo è post che molti genitori dovrebbero leggere prima di cimentarsi nell'arduo compito d'allevare i figli.

  22. grazie ameya per questo prezioso suggerimento. Già da alcuni giorni pensavo alla meditazione come un possibile spazio di contatto con Sè, uno spazio in cui so-stare. Sono curiosa di scoprire cosa cela ilVuoto.Grazie!

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