(ricevo e pubblico)
Gentile Dott.ssa Canovi,
Ieri ho terminato il suo libro. Ero partita a razzo a maggio, ho divorato una prima metà nel giro di pochi giorni, poi c’è stato un arresto. Fermo lì per settimane. Sono concetti che mastico da qualche anno eppure c’era qualcosa in quelle parole che avevano bisogno di albergarmi per più tempo. Così tra maggio e giugno avrò letto un paio di capitoli, andando avanti affannata. Fino a questo momento, costretta dal Covid a dover rimanere a casa e quindi a dover (voler) guardare in faccia, ancora meglio, alcune parti di me.
Intanto, una prima cosa: GRAZIE. Sì, urlato perché lei è riuscita lì dove anni di terapia non sono riusciti. E non per svilire i miei percorsi, sacri e fondamentali, ma questo è davvero il suo. Lei è nel suo quando parla di DA. E questo non può che arrivare per chi come me s’incaglia in dinamiche da DA. Mai nessuno mi ha reso così chiari questi passaggi. Di molte cose mi ero resa conto ma è come se quelle lenti fossero da cambiare. Con il suo libro, il seguirla sui social, ho cambiato occhiali e ci vedo meglio. E che soddisfazione enorme sentire che ci si comprende, finalmente.
Per anni, nel periodo universitario, avevo volumi elevati di dinamiche narci. E con estrema sofferenza. Era il periodo in cui ero fidanzata con l’unica ragazza che c’è sempre stata, l’unica che è stata lì senza “se” e senza “ma”, come farebbero alcune madri. E indovini un po’, io l’ho tradita decine e decine di volte intessendo però ogni volta relazioni amorose, non semplici sveltine. Come se, finalmente, avessi quel luogo sicuro in cui tornare e sapere che la mia mamma ci sarebbe sempre stata, qualsiasi cosa io avessi fatto. Sapevo di potermelo permettere. Certo, all’epoca non me ne rendevo conto, sono riflessioni postume a percorsi di terapia e di grande introspezione quotidiana e instancabile. E quando sentivo parlare del “brutto stronzo narcisista” io non mi ci rivedevo e provavo una sofferenza infinita; non sapevo cosa volessi, mi mancava costantemente la terra sotto i piedi e, per di più, vedere soffrire la persona con cui stavo, da buona empatica (allo stesso tempo), mi faceva stare malissimo. Quindi non ci stavo ad essere, “semplicemente” (me lo permetta), la stronza narcisista. Mi mancava qualche passaggio.
Inutile dire che, avendo tradito la mia ragazza con le varie coinquiline che si erano succedute (alcune anche amiche tra di loro), ciò non mi ha permesso di mantenere quella rete di amicizia universitaria. Anche questa è stata una sofferenza, dopo, ma a 20 anni non capivo cosa stessi facendo.
Da lì, dopo aver lasciato la mia ragazza, quel porto sicuro (e a quanto pare era estremamente necessario), si sono succedute in 10 anni tutte storie in cui l’altra non era mai sicuro che ci fosse. Mi sono messa continuamente, al contrario del passato, in situazioni in cui dovevo esperire quell’assenza alternata a una grandissima presenza, simbiotica, che ho vissuto con mia madre. Mi mettevo perennemente in un’energia da amante segreta, con una sofferenza ancor più grande. Chiedevo, ero richiedente, pretendevo, volevo che facessero qualcosa per me e con me.
Ma come, non ero un Narciso? E ora perché sono così richiedente?
Mia madre è una donna dolce, colta, bella ed estremamente sensibile. Tutto in regola, se non che trascina con sé malattie autoimmuni fin da quando ero piccola e questo la costringeva a chiudersi in camera anche per giorni, finché non si riprendeva, già quando avevo 3-4 anni. Ma io non capivo cosa stesse succedendo. Credo che la me piccola, pensasse che fosse morta. Immagino.
E questo era l’unico modo che conoscevo di amare, una volta esperita la prima esperienza di cui le ho parlato. Amare qualcuno che in un momento c’è con tutta se stessa e in un altro semplicemente scompare. In 10 anni solo storie con donne che non erano realmente disponibili. Ma l’anno scorso, leggendola sui social e interrogandomi, ascoltandomi, percependomi, ho avuto un click: mia madre era costretta in quella situazione, lei ha fatto del suo meglio. Le persone che mi sono scelta, non sono state costrette ad esserci o non esserci. Semplicemente hanno scelto di non esserci in quei momenti. E va bene così.
Sembra così banale, eppure è stato catartico.
Leggerla, ha riappacificato parti di me.
Ci sarebbe tanto altro da dire ma la sto già tediando così; se avrà letto fin qui, ne sono felice. Altrimenti le sarei grata comunque per tutto quello che fa e dice.
Le allego una foto. La libreria non è un buon posto, almeno per me, per Di Troppo Amore. Questo libro merita una seconda, terza, quarta, ennesima lettura. È un corrimano per i momenti di difficoltà. Un binario per ricordarsi verso che direzione andare. Non sempre è facile ricordarsi cosa ti sta accadendo nell’esatto momento in cui sei in ferita.
Quello è il posto per il suo libro. Lo lascerò lì.
Grazie, ancora.
Emme