La dipendenza e la rabbia

SchieleGrazie a B. per la sua testimonianza

“Parlando della dipendenza affettiva mi viene in mente la rabbia che avevo.

Cresciuta in una famiglia in cui ammettere le fragilità non era visto come un qualcosa di positivo, prima di iniziare la terapia ero piena di rabbia repressa. Quella rabbia che celavo perché ammetterla era troppo doloroso. Perché non credevo di averla o che comunque non credevo che tutto partisse da li’. Perché non avevo capito la sua potenza. Perché sentirla e tirarla fuori, da sola, era troppo doloroso. E allora per anni la avevo tenuta dentro e la custodivo nascondendola. Quando la tiravo fuori vedevo che il farlo comportava la devastazione di chi avevo intorno perché, non riuscendo a gestirla, essa si mostrava al mondo come un ciclone. E allontanava le persone da me.

E allontanare le persone da me era l’ultima cosa che volevo.

Per cui la nascondevo.

La rabbia mostrava il mio “ego dolorante” che non aveva ricevuto adeguate attenzioni alla mia sensibilità quando ero bambina.

La rabbia aveva molti nomi celati: l’abbandono di un padre a 5 anni (a livello di presenza), il dover cercare sempre di richiamare le aspettative degli altri senza riuscirci, il non sentirmi mai capita, il sentirmi sola, il dover sempre essere “di piu” per essere vista in famiglia, un relazionarmi sbagliato con il mondo, basato anche sull’aspetto da crocerossina (ossia risolvero’ i tuoi problemi e in cambio tu mi amerai). Aveva tanti nomi, facce, aspetti.. ma non aveva parole.

Quando le parole per esprimerla sono arrivate, e soprattutto, quando ho iniziato a chiamare le cose con il loro nome e ho iniziato a sentirmi, e non a scappare dal dolore. Il percorso è stato lungo e doloroso. Chiamare le cose con il loro nome ha significato per me attraversare quel dolore che per anni tenevo dentro e nascondevo in un “tutto va bene”. Ha significato: usare le parole. E non il silenzio.

Quando ho iniziato a fare questo la rabbia piano piano ha preso forme diverse. E si è affievolita.

Quando la rabbia si è affievolita, non dico scomparsa perché non lo è ancora, sono trascorsi due anni dalla prima seduta in terapia. Ho dovuto attraversare le problematiche imparando ad affrontare, come un bambino che deve imparare a camminare per la prima volta, ho dovuto affrontare le situazioni in modo diverso.

Anziché pormi crocerossina e pormi all’altro nel ruolo di “ti aiuto io e risolvo i tuoi problemi”(unica forma che conoscevo per relazionarmi in quanto credevo che solo in questo modo potevo essere meritevole di amore), con l’aiuto della mia terapeuta ho iniziato a dare peso a chi avevo davanti.

Rispettando la sua essenza, il suo io, limitandomi a stare ferma e ad ascoltare e cercando di conseguenza di capire se quella persona poteva incastrarsi in qualche modo con me.

Tutto un riflesso ad una maggiore percezione di se e autostima.

Ho deciso di scrivere questo pezzo perché la rabbia porta alla dipendenza. La paura e il dolore portano alla dipendenza.

E l’unica soluzione che abbiamo è tirar su le maniche, ammettere che c’e’ un problema e iniziare a dare un nome a tutto cio’ che non va. Con un aiuto adeguato.”