“Carneade,chi era costui?”
Temi con citazioni da commentare, situazioni mondiali da valutare, contenuti da saper argomentare. Il tema di Italiano dell’esame di maturità 2010 presupponeva un candidato aggiornato, capace di orientarsi tra i vari linguaggi contemporanei, in grado si saper distinguere la differenza tra piacere e piaceri. Di poter dissertare sulla felicità, fare supposizioni sugli Ufo, o analizzare un testo di Primo Levi. Dopo un percorso di cinque anni lo studente viene chiamato a rendere conto di contenuti di cui si è in teoria appropriato, rielaborandoli in forma originale e personale, dimostrando di conoscerli, padroneggiarli, saperli scomporre e ricomporre in modo da fornire una prova tangibile, concreta, palese delle proprie conoscenze.
Cosa intende per cultura la nostra società? Secondo molti psicologi essa non è altro che un insieme di schemi, prodotti, artefatti utili per mediare e affrontare la realtà. La cultura è essa stessa prodotto e veicolo di conoscenza. Tuttavia essa è “un orizzonte che si allontana, più cerchiamo di avvicinarci” (Benhabib, 2002).
La scuola è in grado di preparare adeguatamente gli studenti ad affrontare quanto poi richiede loro di dimostrare di conoscere? Occorre in tal senso fare una riflessione, partendo dalle reazioni emotive dimostrate. Le prove d’esame rispecchiano l’iter eseguito durante il percorso scolastico? Chi prepara le prove ha il termometro di quanto accade realmente dentro alle aule quotidianamente? O vi è uno scollamento tra i saperi macerati e macinati e quanto invece pensato e proposto dalle commissioni che preparano le prove?
A valutare dal materiale emotivo che emerge, sembra di no. Stupore, disapprovazione, amarezza, protesta, indignazione sono i sentimenti comuni per le prove. La mancata corrispondenza tra quanto studiato e quanto richiesto può essere recuperata? Ciò che viene stabilito ai vertici è un compendio e una rappresentazione oggettiva di quanto diffusamente promulgato, o rappresenta una interpretazione, visione astratta e distante dai programmi davvero svolti?
Se accettiamo che la cultura è un prodotto collettivo, in cui individuo e società appaiono strettamente embricati, e che evolve in modo diacronico e sincronico, la riflessione porta senz’altro ad osservare che tale distanza ci sarà sempre, poiché c’è uno scarto di tempo tra quanto prodotto, e quanto in effetti viene analizzato.
Tra il produrre un significato culturale e la sua divulgazione c’è un lasso temporale, che sfugge, distrae. Ben afferma Zygmunt Bauman quando definisce la nostra società liquida, contrapposta a quella precedente, solida. I programmi della scuola sono ancorati a un tipo di sapere solido, adatto a una società industriale, mentre la vita reale si liquefa, frantumandosi e diffondendosi in modo tecnologico. I nostri figli sono nativi informatici, ma il sapere a loro proposto appartiene a una modalità ancora lineare, in sequenza, mentre il funzionamento cognitivo attuale segue una via in parallelo, multidimensionale, multimediale, comprensiva di più linguaggi in contemporanea.