ADOLESCENTI SMARRITI

 

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“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ah quanto a dir qual era è cosa dura,
esta selva selvaggia e aspra e forte,
che nel pensier rinnova la paura!”

Così recita Dante nel I Canto dell’Inferno, ponendosi come simbolo dell’uomo a metà della propria vita, smarrito e confuso.
Nella società attuale la crisi esistenziale sembra colpire sempre più di frequente gli adolescenti. Se Dante lascia in eredità una riflessione di uomo maturo, che si perde a metà di un cammino, quello che accade oggigiorno ed è registrato dai quotidiani, è un segno di ben altra sofferenza. L’uomo rappresentato all’inizio della Divina Commedia aveva una strada e l’ha smarrita. I giovani che sempre più spesso vanno sui giornali, cercano di comunicare alla comunità degli adulti qualcosa, e se ci soffermiamo a riflettere tali “bravate” suonano come campanelli d’allarme che non si possono ignorare. La strada non è stata nemmeno ancora imboccata. Lo smarrimento è a monte.


Ragazzine che fuggono da casa, adolescenti che si sfidano su quantità di alcol ingerita, fino a finire in coma etilico, le cronache quotidiane riportano giovani che sono allo sbando: se Dante facesse ora un ritratto della civiltà occidentale contemporanea, dovrebbe cambiare metafore e allegorie. Il labirinto di Arianna ci rappresenterebbe molto meglio. Manca tuttavia, al momento, un filo rosso che ci conduca fuori, e ci permetta di uccidere il mostro, il Minotauro, allegoria dei comportamenti a rischio, auto lesivi, pericolosi per la salute fisica e mentale.

Non serve agli occhi di chi studia le società in un’ottica evoluzionistica, adottare un atteggiamento di condanna, moralistico. Se guardiamo alla storia con un cannocchiale per comprendere cosa è accaduto da lontano, possiamo osservare che le epoche storiche si susseguono seguendo un andamento a onda: una civiltà arriva al massimo dell’espansione, e poi decade. I sistemi di valori che sembrano funzionare per un’epoca, si rivelano inadeguati in seguito. Occorre trovare strategie di rinnovamento e costruire nuovi orizzonti di senso.

Psicologi, sociologi, comunità educanti, la rete dei servizi, le famiglie sono le agenzie che prendono atto, osservano e si attivano per comprendere, elaborare, interpretare quanto accade, correggere dove necessario, arginare, contenere. Una riflessione comune, vedendo quanto accade nella nostra società, è d’obbligo. Passato il senso di smarrimento e di indignazione per ciò che appare sui media, subito dopo è necessario interrogarsi sul significato di quel che c’è, e su cosa è possibile fare.

Alcune considerazioni da cui partire.

I ruoli familiari sono mutati nei tempi. Alla famiglia delle regole, dove il ruolo paterno era definito, chiaro e specifico, è subentrata la famiglia degli affetti.  In questa sede non si vuole e non si può discutere se ciò sia giusto o no. Di fatto il padre diventa per un’infinità di ragione una seconda madre, rinuncia alla propria autorità, in cambio dell’amore dei figli. Il benessere economico vede un’orizzontalità dei ruoli, tutti lavorano fuori, tutti contribuiscono alla casalinghitudine, i ruoli diventano intercambiabili.

I copioni familiari sembrano tutti seguire una logica compensatoria: il figlio rappresenta un successo sociale, il bambino viene investito di aspettative enormi, deve primeggiare, riuscire e arrivare, anche laddove il genitore non è arrivato. Il bambino, spesso figlio unico, diventa oggetto di un amore sconfinato, e il genitore moderno, con tutte le buone intenzioni, si adopera per “farlo crescere felice”.

E a questo bambino prezioso, amato, accudito e nutrito all’eccesso difficilmente viene posto un NO. Se ci si pensa, il troppo equivale al nulla. Il padre che diventa “mammo” perde il ruolo di contenimento, le sponde diventano invisibili, e il senso di smarrimento si moltiplica. Cosa è lecito, cosa è norma, cosa è controindicato viene confuso. In più la realtà mediatica si fonde con quella della vita reale, i confini sembrano essere mischiati. Apparire diventa un valore, un passaggio televisivo, l’obiettivo cui mirare: compaio sui media, “ergo sum”.

A chi ripensa su ciò che accade, e si pone in un’ottica psicosociale, non spetta il compito di giudicare, ma quello di osservare e registrare un andamento e una tendenza, e dare un significato, se possibile proporre e costruire da un ammasso di macerie, qualcosa di nuovo.

Il dilagare delle nuove dipendenze, internet, pornografia, acquisti compulsivi, segnala che l’appoggio un tempo ricevuto dalle figure genitoriali è ora cercato “fuori”, appoggiandosi ad Altro, alcol, sostanze, comportamenti disfunzionali, che offrono un finto sostegno, tuttavia sempre lì a disposizione, come stampella per funzionare socialmente. Il contenimento, l’accudimento svolto dalle figure adulte di riferimento sono svolti ora da altre agenzie artificiali, il potere rassicurante è delegato a sostanze esterne da sé. I momenti per stare con se stessi non vengono proposti, si incoraggia un costante “collegamento”, una connessione continua, utile se moderatamente fruita, deleteria se si sostituisce alla connessione primaria: quella con se stessi.

L’antropologia culturale studia i fenomeni di acculturazione, e come le popolazioni si contaminano a vicenda. La crisi, vista in quest’ottica, rappresenta una frattura, un passaggio da un qualcosa che c’era prima e un qualcosa che ancora si deve creare.

Va preso atto che i costumi attuali indicano una povertà di valori, una mancanza di confini precisi su quanto sia lecito e quanto si vada oltre. E proprio partendo da lì occorre proporre del nuovo. Osservare che due ragazzine arrivino a simulare un abuso, lontano da casa, con l’obiettivo di “apparire”, lancia un segnale di allarme importante. L’essere visti ha assunto un significato soltanto mediatico.

E come in ogni crisi o frattura, la soluzione è spesso contenuta e insita nel problema. I giovani di oggi, forse, vogliono essere guardati e visti con occhi diversi da come li stiamo guardando: accecati da troppo amore, non li vediamo.

Prendiamo una distanza diversa allora. Cambiamo focale. Senza inutili giudizi, sensi di colpa che attanagliano i genitori attuali, sofferenti e insicuri ripetono a se stessi “dove ho sbagliato?”. I primi quindi a essere insicuri del proprio ruolo, siamo noi stessi, i genitori, gli adulti. Siamo di fronte a un rito di passaggio da un’epoca all’altra. Le mutate condizioni economiche, l’assetto delle nuove famiglie, l’avvento della tecnologia, il benessere economico, ci hanno travolto senza che nessuno avesse dato istruzioni, e come ogni in epoca di passaggio, è necessario costruire insieme nuovi orizzonti di senso.

Prendiamo questi segnali come opportunità, senza condanne, per pensarci seriamente su.

 Ameya G. Canovi

 

14 commenti su “ADOLESCENTI SMARRITI”

  1. Pienamente d’accordo, sull’autonomia lavoriamo da sempre, e gli incoraggiamenti non le mancano mai. Certo, io brontolo, ma sono brontolate da poco, invece per le cose davvero serie le sgridate servono sempre, e poi le ho spiegato che se la sgrido è solo perchè le voglio bene e ho paura che faccia cose che la possano mettere in pericolo, anche se ultimamente andiamo molto d’accordo. Comunque è bello sentirle dire ” mamma, lo so che se mi sgridi è solo per il mio bene”. Spero che questa consapevolezza le rimanga anche nel futuro, ma so già che “il bello addavenì”| Bacioni.

  2. Laura ..il bello addavennì… Se io tornassi indietro lavorerei sull’autonomia, sul permetterle di crearsi una base sicura dentro se stessa. Come? Incoraggiandola, supportandola. Sottolineando sempre il bello e il buono, dando luce e fertilizzante alla positività. Spesso noi mamme siamo critiche, “brontoliamo”, diciamo su. Questo giudice costante viene poi interiorizzato e rivolto a se stessi… con conseguenze devastanti… di disamore e autolesionismo nei casi estremi… Frenare la critica e nutrire l’incoraggiamento. Ho solo questo suggerimento per le future mamme delle future adolescenti.

  3. Io ho avuto una figlia in età già avanzata, l’ho desiderata per tanto e finalmente è arrivata, ma non ho mai pensato di concederle tutto solo per una specie di sentimento di gratitudine pere essere riuscita a farla nascere, anzi, ho sempre pensato che l’educazione inizia dal primo giorno di vita di un bambino, perchè credo che i neonati abbiano capacità di comprensione che non sospettiamo. Certo, è molto più facile cedere quando cominciano i primi capricci, ma questo è invece il momento di mostrarsi più forti e resistere. Se un bambino, anche molto piccolo, capisce di riuscire ad averla vinta la battaglia è persa e il ruolo del genitore svanisce. Con mia figlia ho avuto momenti di scontro molto forti, però ora che ha 7 anni abbiamo un rapporto molto più facile e di grande complicità, e spero che questo mi aiuterà quando arriveranno gli altri inevitabili periodi di scontro generazionale.

  4. Esatto sono d’accordo bisogna affrontare i problemi e cercare soluzioni reali.. qua invece la regola è trovare palliativi, che rendono appunto dipendenti e schiavi.. sembra a volte una società di zombies. Ciao Ameya è sempre un piacere leggere i tuoi scritti

  5. C'e' un conflitto latente tra Natura e cultura. Da sempre.
    La selezione naturale dovuta all'asprezza ambientale e' cio'che ha permesso l'evoluzione e la cultura stressa che ha cercato di mitigare se non di eliminare le cause selettive, quasi sempre vincoli, azioni, disturbi sgraditi, se non cruenti e dolorosi.
    Ora il conflitto si ripresenta: il politicamente corretto e non pochi eccessi di esso (si pensi agl effetti terribili della pedagogia (?) del dottor Spock()) svuotano le generazioni, inibiscono le capacita' cognitive e deduttive etc. (i problemi sono citati bene qui sopra).
    Oscho che non e'stato di certo un pirla, studio' a lungo Gurdjieff la cui filosofia era proprio sul superare le difficolta' e le asperita' della vita, non di certo abolirle.

    Sotto sotto c'e'  la morale: il buonismo dilaga, la metafora della pecorella del gregge, il dover essere buoni non sono certo avulsi dal problema della perdita' di tono e di vigore e di audacia e di creativita' e di spirito di vita.
    Iniziare a lavorare anche sui sensio di colpa che come genitori vengono quando si introducono dei bei no, o si vuole stimolare un po' i nostri figli a vivere, pensare e a non conformarsi.

  6. Senza voler strafare, io chiamo tutto ciò -IGNORANZA di RITORNO-, poi il discorso sarebbe anche più complesso, però penso pure che il bandolo della matassa verrà fuori col tempo che dovrà prima sedimentare il presente ed altro ancora. Saluti veri da Salvatore, detto: Sar.

  7. Dopo aver metabolizzato in dieci anni i vari incontri con pedagogisti,psicologi,insegnanti e genitori, sono giunta alla conclusione di essere piena di lacune nel pormi come educatrice verso mio figlio in pre-adolescenza..La sua crescita è andata di pari passo con la mia ricerca di identità, ma ho più dubbi che certezze, in più manca una figura paterna di riferimento che bilanci il mio ruolo. Sento che devo essere autorevole ed affidabile, amorevole e non amica, permissiva e non lassista, ecc. Che fatica quando devo tenere a bada il mio vuoto affettivo!!! L'unico faro che mi guida alla fine è l'amore che provo per lui, onda di comunicazione senza interferenze, unica espressione di libertà in cui mi riconosco. So che nei prossimi anni mi attendono gli scontri generazionali, il rifiuto genitoriale base della costruzione di un nuovo adulto, ed ho preferito ripercorrere prima di allora i miei passi emotivi dall'infanzia all'adolescenza. Ho vissuto litigate furiose con i mieri genitori, tanta rabbia e pochissimo amore;non penso che girerò su mio figlio la nemesi dei miei problemi emotivi irrisolti, ma metto in conto qualche cedimento strutturale :))
    Ciao Ameya e grazie per gli spunti di riflessione su argomenti così profondi e articolati.

  8. Proprio oggi qualcuno mi ha detto: "Se si colpevolizzano gli altri non avremo mai possibilità di cambiare davvero per migliorare la nostra vita!"
    Credo tu abbia ragione quando dici: Pensiamoci seriamente su…e credo si possa fare davvero. Se invece di buttare sugli altri le proprie responsabilità, ci esaminassimo con sincerità molte cose sarebbero migliori….

    Un abbraccio

    maria

  9. ho un bimbo di tre anni ( a marzo ) e quel ruolo di contenimento lo esercito propriamente ed ho intenzione di continuare a farlo.

    però e difficile.

    con questo, non voglio giustificare quei genitori che sostanzialmente, se ne fregano di impartire uno straccio di "buona educazione"…si diceva così, no?!?…ai propri figli.

    anzi, la responsabilità dell'ignoranza dei giovani di oggi, unitamente a quella propria dei medesimi ai quali, diciamolo pure, non interessa porsi in uno stadio evolutivo più ampio, la colpa di ciò, è imputabile a genitori-mentecatti che fregandosene, appunto, vengono soppiantati da svariati surrogati.

    quando poi dovessero intervenire nel progetto che si son dati ovvero, fare di una ipotesi un uomo, allora non saprebbero dove barcamenarsi, data l'ignoranza che a loro volta li attanaglia.

    ora, non è che mi son voluto auto-adulare…diciamo che mi auguro di non fallire!!!

    ciao.

  10. A mio avviso, la persona che realmente malata dovrebbe curarsi..
    Ecco una persona realmente malata è quella persona che ravvisa negli acquisti di prima necessità, l'acquisto compulsivo d'una persona malata e frustrata..Anche il semplice fatto che questa persona del tutto normale dopo 4 mesi ravvisi la necessità d'andare a tagliarsi i capelli, ecco viene interpretato dalla mente malata che vive evidentemente un disagio, come lo sfogo d'una mente adolescente che ravvisa la necessità di sfogarsi spendendo danaro superfluo..
    La necessità di dialogo assume il riflesso deformato di necessità di ricerca di ciò che dovrebbe trovarsi all'interno delle mura domestiche..ed il parametro di riferimento a cui si guarda inesorabilmente diventa fatiscente..ed allora il problema dov'è?
    Negli occhi di chi ti guarda con eccessivo amore o negli occhi di chi voleva compiacersi dicendo così"Altro che personalità illuminata, hai visto che avevo ragione?"..
    Questo  a mio avviso è l'aspetto più patologico in assoluto, il voler attribuire sensi e significati seguendo una personale metodica distorta, per il solo fine di compiacersi affermando: "Avevo ragione io"..

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