L’INCESTO IN PRIMA PAGINA

Orrore in diretta.E perché se ne continua a parlare?scazzi-sarah-zio-michele-misseri (Custom)

Quando la follia irrompe nel quotidiano, si scatena l’avidità mediatica, ecce monstrum.
In prima pagina. 
 
Tempesta mediatica sul caso di Sarah Scazzi. I fatti sono noti, non si parla d’altro da 48 ore. Una quindicenne tarantina uccisa e stuprata dallo zio, reo confesso dopo aver rilasciato appelli e interviste. Il cadavere ritrovato dopo la confessione. Attonito il pubblico italiano passa da un canale ad un altro, fior di psichiatri, criminologi, esperti, opinionisti che passano da una rete all’altra. Morbosità, voyeurismo, una pioggia di sdegno sulla vicenda, e un frenetico dibattito che cerca di dare una spiegazione, una forma a qualcosa di orribile che ha dell’inspiegabile.


 
Due gli aspetti della vicenda su cui vale la pena una riflessione. La presenza del mostro dormiente proprio lì, in famiglia. E il battage mediatico che non risparmia nessuno arrivando a dare in diretta la notizia della morte di una figlia uccisa e stuprata, con vilipendio di cadavere.
 
Quello che più pare sconvolgere l’opinione pubblica non è solo un fatto di cronaca, a cui i media ci assuefanno. Piuttosto il meccanismo che colpisce violentemente in questi casi è l’irrompere della follia nell’apparente normalità. E l’orrendo quesito: la famiglia sapeva?
 
Alcuni dati statistici sui minori abusati dicono che:  il 41% delle violenze su minori è perpetrata dal padre, il 35% da padre e madre insieme, il 7% da altri familiari. La durata dell’abuso prima che venga denunciato è in media di quattro  anni. L’età di insorgenza dell’abuso è di solito nell’età subito precedente la pubertà, attorno ai nove anni. I danni psicologici della vittima sono proporzionali alla precocità dell’insorgenza dell’abuso, determinando gravi turbe quali dissociazione, autolesionismo, organizzazione borderline di personalità, disturbo post traumatico da stress, disfunzionalità del comportamento sessuale, e alimentare, fino a schizofrenia.
 
Maltrattamenti fisici, psicologici, abuso sessuale, incuranza, trascuratezza accadono statisticamente soprattutto tra le mura domestiche. Il contesto più a rischio per un minore è la famiglia, che tace, collude, e applica la negazione come meccanismo psicologico di difesa. Un sistema familiare incestuoso sa e compartecipa, per paura di guardare in faccia l'orrore, per la scomodità di attuare cambiamenti, l'equilibrio paradossalmente finisce per costruirsi sulla disfunzionalità. Ma tutti nel sistema sanno, captano, ma negano anche a se stessi, minimizzano, fingono di non vedere segni e richiesta di aiuto più o meno implicite. Indizi allarmanti ci sono sempre. La vittima però è reticente poiché scatta in concomitanza il senso di colpa, la vergogna, e la confusività dovuta alle componenti affettive in gioco nei ruoli familiari. L’abusato non comprende, non sa dare un nome a quanto accade, aspetta prima di dirlo, denuncia timidamente, ma il sistema familiare non è disposto a vedere, a riconoscere, dissimula, non presta ascolto. L’abusato rinuncia, interiorizza la colpa, ma denuncia quanto sta accadendo in altri modi, cambiando umore, può avere incubi, modificare il comportamento alimentare. Tutti campanelli di allarme che cadono spesso nel vuoto, in un vuoto attonito che non può accogliere l’inspiegabile, l’orrore.
 
La vicenda di Sarah Scazzi porta alla luce un fenomeno che si consuma nel silenzio delle pareti di casa. L’accanimento mediatico di questi giorni sottolinea un’altra componente della nostra società. Non solo accadono le violenze domestiche, ma una volta venute alla luce, c’è una morbosità feroce verso il mostro vero o presunto. Si cerca un capro espiatorio. Nei giorni scorsi il ritratto di Sarah era quello di una ragazzina che flirtava con sconosciuti, che chattava su Facebook, che voleva fuggire da un contesto impoverito.
 
Da un momento all’altro Sarah diventa una vittima di quel contesto non solo povero, ma anche assassino. Lo sguardo intrusivo del pubblico che assiste in diretta alla notizia data alla madre è un’ulteriore denuncia sociale di quanto la mediatizzazione della vita prende piede sugli affetti, sui sentimenti. Si spiano le reazioni, anche al rallenty, si fanno operazioni chirurgiche, si analizza l’Altro, il mostro, la mostruosità. Con un accanimento che in campo psicologico può essere motivato come esorcismo. Vedendo da fuori il male, ci si sente esenti, spettatori e non agenti. Dimenticandoci che in questo modo la violenza viene riproposta più e più volte, amplificata in questo teatro sociale. Il problema non è se Federica Sciarelli, la giornalista di Rai 3 che si è trovata a dover gestire la notizia in diretta sia cinica o no, o se la rete televisiva specula sul dolore. Il problema è ben più complesso, di fronte alla notizia data c’erano milioni di occhi giudicanti. Guardanti. Convalidando così la spettacolarizzazione della vita. Di questo siamo tutti corresponsabili.
 
La perversione esiste e si annida nel genere umano, portandolo a compiere delitti efferati. “Il genitore maltrattante è sempre un bambino incompiuto, e un coniuge deluso” (Stefano Cirillo, Cattivi Genitori, 2005). Invece che parlarne ‘dopo’ e proporre i fotogrammi a ciclo continuo, è necessario allertare gli animi, invitando chi tutela sull’infanzia a prestare vigilanza ai minimi segnali di disagio, a cogliere i silenzi, a mettersi in ascolto del dolore che si consuma per lo più negli sguardi, prestando  una attenzione vigile e costante, per proteggere chi non sa dire le cose poiché non ha le parole per dirlo. 

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Perché se ne continua a parlare?

A distanza di giorni, in Italia sui media e sui talk show non si parla d'altro. I particolari vengono riproposti in modo ossessivo, si cercano spiegazioni, motivazioni, si analizzano i frammenti dei racconti, si cerca di ricostruire, pari a una catastrofe nazionale. L'orco, lo zio, viene esaminato come in una indagine autoptica. Chi era? Chi è? La vita della famiglia viene setacciata, vengon interrogati gli amici, il medico di base, chiunque possa rivelare un particolare illuminante, chiunque possa fare uno spiraglio di luce sulla vicenda. Accanimento mediatico o bisogno psicologico di comprendere?
 
Una possibile spiegazione in chiave cognitiva potrebbe essere il bisogno dell'essere umano di classificare gli eventi. La conoscenza della realtà avviene attraverso un processo di categorizzazione degli eventi. Se una madre uccide il proprio neonato, in un certo senso è un comportamento spiegabile. Condannato, ma spiegabile come gesto dettato dalla depressione. Viene categorizzato come gesto folle. Qui invece si sconfina nell'incesto, tabù supremo della nostra società. Omicidio e abuso, incesto. Troppo per essere compreso tutto insieme. Spaventa poiché lo zio Orco non sembra aver mai dato segni di squilibrio. Spaventa la sua estrema 'normalità', non era un malato mentale, uno psichiatrico. Questo terrorizza l'opinione pubblica.

Uso e abuso dei media, come se reiterando i particolari, usando la moviola, si frantumasse l'evento, sminuzzandolo in piccoli fotogrammi, nella speranza di renderlo più intellegibile.

 Come l'omicidio compiuto da Anna Maria Franzoni. Se fosse stata dichiarata malata di mente, l'opinione pubblica avrebbe potuto incasellare il fatto atroce come ilgesto folle. E' la normalità apparente a spingere l'opinione pubblica nella ricerca di comprendere. Il pubblico attende una rassicurazione, attende di essere esentato dalla possibilità di poter correre il rischio. E' la paura del male che si annida nella quotidianità che pretende una motivazione, una prova che l'orco non tornerà. Che è stato un errore, una scheggia impazzita. In attesa che venga consegnata una motivazione tranquillizzante, se ne continua a parlare. Ancora non si trovano le parole per spiegare, e per dirlo, perché è accaduto.

 

Ameya G. Canovi

 
 

13 commenti su “L’INCESTO IN PRIMA PAGINA”

  1. Stiamo parlando di fatti, Ameya, che sono sempre accaduti, anche se naturalmente non ci sono statistiche attendibili. Una volta, nelle campagne, nelle aree isolate, le relazioni familiari sfociavano abbastanza spesso nell'incesto, solo che i minori erano sottomessi a tal punto alla famiglia che non avrebbero mai osato parlare. Il terrore delle percosse imperava e tutti congiuravano per non far trapelare nulla all'esterno. Oggi le vittime non accettano più passivamente la violenza, si ribellano, e di conseguenza subiscono una punizione definitiva; spesso scompaiono nel nulla e la famiglia salva così la propria onorabilità.
    Il rilievo che i media stanno dando a tante tragedie è certamente eccessivo, ma può avere come risvolto positivo la consapevolezza della violenza che ancora è ampiamente diffusa in una società che, a torto o a ragione, riteniamo avanzata.

  2. cosi come sono in aumento le fiction televisive, italiane e d'oltreoceano sui delitti, omicidi, casi da risolvere e via dicendo…alla gente piace scoprire chi è l'assassino, cosa c'è nella sua mente, scoprire le prove , incastrare il colpevole in qualche modo e tutti gli intrecci di come vengono impostati questo tipo di film…la storia di sara però non è una fiction, lo sappiamo, non siamo in tv, ma paradossalmente la facciamo diventare tale, la tv la fa diventare come se fosse un caso da risolvere comune a tante puntate..l'informazione credo sia un'altra cosa..qui non esiste un copione..qui la vittima non si rialza in piedi alla fine del ciak

  3. Quello che fa rabbia nel sentire questa e altre storie di violenza, in cui le donne sono sempre vittime, è che quasi sempre la vittima stessa è il miglior complice del proprio carnefice: per paura, per vergogna, per omertà, per mentalità… Forse anche Sarah si sarebbe potuta salvare se avesse raccontato delle avances dello zio… forse… dipende poi dal contesto sociale e familiare di cui faceva parte.

    Credo fortemente che bisognerebbe prevedere dei programmi di educazione già dalle scuole elementari (benchè certi fatti di cronaca ci dimostrino che già dall'asilo i nostri figli possono essere sottoposti a violenze): educazione al rispetto altrui e proprio, educazione a manifestare senza paura certi disagi, educazione alla comprensione che la vergogna, quando si subisce violenza, la dovrebbe provare il carnefice, non la vittima,e infine educazione alla propria 'salvaguardia' perché forse se le donne capissero che a volte ciò che serve non è lottare contro un uomo violento, ma sottrarsi alle sue violenze mettendo in mezzo, se necessario, centinaia di chilometri, allora ci potrebbe essere qualche vittima in meno. 

  4. I "mostri" a votlte seggono al nostro tavolo. Hanno una famiglia. Sono madri, padri, figli, nonni, zii….La cosa atroce però è che spesso, quando si denunciano certi fatti, pare che le vittime siano i colpevoli , è questa spesso la senszione. Lo dice una che non lo fa da "lontano", e se si vuole uscire dal circolo vizioso dell'omertà ci vuole coraggio e amore per se stessi….Un articolo pieno di sensibilità e competenza…grazie…maria

  5. Queste parole fanno riflettere a me genitore di un minore di 14 anni. Volevo ringraziarti Ameya per  aver detto di prestare attenzione ad ogni minimo segnale di disagio. La ritengo una cosa di fondamentale importanza.  

  6. non c'è dubbio che l'invadenza mediatica stia prendeno fin troppo piede nella nostra vita. A mio avviso ci sono pagine di dolore che andrebbero rispettate per la fragile realtà che rappresentano.Questo non vuol dire non dare la notizia, ma solo non ricamarci su un palinseto di un'intera serata.Queste sono comunque tragedie che non si vorrebbero mai sentire, anche se non è stato l'unico caso del genere,  l'episodio in se va comunque condannato, nella speranza che non si ripeta, in fondo esiste ancora della bontà fra gli esseri umai, e dunque parliamone.Un caro saluto, buona domenica.

  7. Io sono felice di aver trovato questo blog, è la risposta a quello che cercavo.intanto lascio qui un commento, penso che ti scriverò in privato per una situazione spinosa e pericolosa che sta dilagando in internet coinvolgendo molti minori. si chiama TWINCEST. diffonde l'idea che l'incesto sia cosa normale e lecita e purtroppo la cosa è al seguito di una band musicale che è molto seguita da giovanissime ma non solo. queste storie di fantasia pornografica messe online all'inizio da persone grandi ora sono alimentate anche da "opere" grafiche e letterarie di minorenni.non me la prendo se posterai solo la prima riga del mio commento, anzi, forse è decisamente meglio così meno persone si incuriosiscono ed evitano quello schifo.Diana Rizzetto (eventualmente sono su Facebook)

  8. Concordo su tutto.Ho trovato abbastanza aberrante tutto questo chiasso e morbosità.Come se non si sapesse che spesso,in moltissime famiglie, si usa la violenza per educare e si crea un clima di non ascolto e di omertà.Un'ipocrisia latente che fa sentire in colpa e a disagio chi subisce trattamenti violenti o anaffettivi.

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