Riflessione sull’identità sociale, fisica e psicologica degli individui.
Alla domanda “Chi sei tu?” come rispondereste? La risposta a tale domanda apre a considerazioni interessanti. Sono una donna, un medico, un italiano, un montanaro, un cittadino del mondo, un padre, un musicista.
Secondo come un individuo risponde, è possibile comprendere molto di come egli si percepisce.
Entrano in gioco processi di identificazione che, se analizzati dall’esterno, possono fare comprendere come si articola la formazione del Sé. Le teorie cognitiviste rilevano che nel processo di sviluppo, gli individui categorizzano se stessi così come la realtà. Pertanto la risultante finale per quanto riguarda la propria identità sarà un insieme di Sé multipli, che si attivano e diventano operativi a seconda della situazione.
In altre parole una madre italiana che lavora come negoziante e ha come hobby il ballo liscio, alla domanda “chi sei tu?” risponderà definendosi con quella parte del sé con cui più si sente rappresentata, e per dirla con un termine psicologico, identificata. Se risponde una ballerina, sarà quella l’immagine preponderante che lei avrà di sé.
Il rischio è quello di sentirsi totalmente identificati in una sola parte: sono un bravo commerciante. E passare la vita a credere di essere “quello”. Ciò che può accadere è che quando arriva una disconferma, o un sospetto che non è così, o non lo è più, si ha la percezione che crolli il mondo, di non essere più “niente”. Se la ballerina di cui sopra, un giorno dovesse subire un intervento e non poter più ballare, la ferita identitaria sarebbe devastante ben più se ella si fosse definita un’italiana.
Ci sono tre aree identitarie nella formazione del sé: l’identità fisica, che coincide con la propria fisicità, col corpo. L’identità sociale, che richiama il gruppo, o i gruppi, di appartenenza, la nazionalità, la parrocchia, ecc. L’identità psicologica, l’organizzazione di personalità, l’insieme dei meccanismi di difesa, la visione del mondo, lo stile di fronteggiamento delle difficoltà, il grado di resilienza, cioè della resistenza agli eventi drammatici della vita.
Pertanto non ci sarà solo UN solo Sé ma sé multipli, diversi, che diventano operativi, se situati.
La forte identificazione con una soltanto di queste aree può diventare penalizzante, nel caso in cui si subisca un danno, o un cambiamento di rotta.
Ad esempio se una donna si identifica totalmente con il sé fisico, a una modificazione del corpo reagire con un senso di catastrofe. Una cicatrice, un aumento di peso, le normali rughe che subentrano con l’avanzare del tempo, saranno vissute come una crudele condanna, e una perdita identitaria. Da qui le lotte per mantenere un’immagine di se stessi, pena la perdita del senso di sé. “Se non sono più la bella donna, giovane e con un corpo tonico e snello, chi sono io?”
Allo stesso modo se l’identificazione avviene con la parte del sé sociale, con l’appartenenza a un gruppo etnico. Se accade un trasferimento, l’individuo fortemente identificato con la propria appartenenza nazionale faticherà a inserirsi nel gruppo nuovo.
Identificarsi ciecamente con un solo aspetto di sé comporta l’entrata in gioco di altri meccanismi psicologici inevitabili. Se la persona si sente principalmente un “paesano”guarderà con sospetto chiunque non sia come lui.
In più sarà portato a leggere tutto da quella prospettiva. Una mamma che vede il mondo “solo” da mamma, leggerà ogni evento con quella chiave. Lo stesso uno sfruttatore della prostituzione, vedrà ogni donna come potenziale lavorante. E così via.
L’essere identificati con solo una parte del sé porterà anche allo screditamento di ciò che esula dall’area di quella parte del sé.
Una persona senza cultura, con il valore dello sballo del sabato sera, “bevo, mi sballo, dunque sono” sarà portata a credere che tutto il mondo faccia altrettanto e che quello sia “la norma”. Di fronte a comportamenti diversi sarà portata a screditare chiunque faccia diverso. Pertanto per sentirsi superiore non avrà altra scelta che quella di sminuire l’Altro, considerato strano, sbagliato e fuori dal campo della propria visione. La derisione e lo screditamento sono meccanismi di difesa attuati per attenuare la propria inferiorità avvertita come deficit. Le persone hanno un bisogno inesorabile di difendere l’immagine che hanno di sé. Messi a confronto con realtà differenti, che gettano ombre sgradite, reagiscono cercando in tutti i modi di screditare chi è percepito, migliore, superiore. O soltanto diverso, se non si hanno gli strumenti per comprendere la diversità.
Anche il pettegolezzo, il tanto deprecato gossip, avrebbe una funzione sociale fondamentale: nella frantumazione della realtà, nel passaparola degli affari altrui, si nasconde il bisogno di comprendere, di narrare e condividere realtà che non sono proprie. E che magari non lo saranno mai, si guarda dalla finestra, e ci si pone nel ruolo di spettatori.
Questi fenomeni sono stati studiati con sperimenti interessanti dagli psicologi sociali. Numerose ricerche indicano come gli individui spontaneamente attribuiscano il punto a favore per il proprio gruppo, a prescindere. E siano pronti ciecamente a screditare l’altro gruppo avvertito come esterno.
Alcune persone sentono di appartenere a un gruppo svantaggiato e tentano il passaggio a un altro gruppo, visto come migliore. I criteri di passaggio della mobilità sociale variano. Si può cercare di accedere a un gruppo ritenuto più vantaggioso, con l’alacrità, con la cultura, con la bellezza, usando il proprio corpo, come pare stia avvenendo sulla scena attuale italiana.
Se si percepisce il gruppo in cui si vuole entrare come permeabile e accessibile singolarmente, la persona attua una scalata individuale. Se i confini sono avvertiti come chiusi e impermeabili, allora si danno forma a gruppi organizzati per sovvertire l’ordine, e cambiare la configurazione della scena sociale.
Di fatto è interessante osservare e osservarsi, riconoscendo le aree di identificazione maggiori per ognuno. È provato che più rappresentazioni di sé si hanno, meno si soffre se si subisce un deficit in un’area identitaria. Un esercizio divertente è quello di disegnare se stessi al centro del foglio. Costruendo una mappa concettuale, scrivere tutto intorno aggettivi e parole chiave che rappresentino se stessi. Poi cancellare quelli di cui ci si potrebbe disfare. Le parole che restano, quelle indelebili rappresentano le aree identitarie più forti.
Avere molti interessi, guardare a se stessi come “persone” con una costellazione di aspetti porterà a un’attitudine più rilassata nella vita, senza sentirsi minacciati per la paura che qualcuno porti via qualcosa, o in lotta per affermarsi a tutti i costi.
Ameya G. Canovi
ciao ameya. articolo molto interessante.
sono una persona molto curiosa, e quindi con molti interessi, e questo, credo mi abbia salvato da un passato pericoloso. a volte faccio fatica a riconoscere il mio vero io se non come la somma di tutte le persone che sono in tutte le situazioni che vivo. mi ha consolato conoscere pessoa (che citi nel tuo blog) perchè, come lui, mi sento “una sola moltitudine”.
Se solo per un attimo provassimo a ….Respirare…. il senso delle cose in modo diametralmente opposto alle convenzioni sociali e soprattutto mentali, tutto apparirebbe fondamentalmente inutile tranne il…respiro stesso !
@Claudio molto interessante la tua osservazione… Credo tu abbia ragione, una radice del delinquere è proprio dovuta, a mio avviso, al non sentirsi dentro ma fuori dal sistema, quindi di conseguenza disconoscerne le regole.
Ameya considero il tuo blog una fonte di indicazioni per il mio lavoro. Opero nelle forze dell'ordine ed ogni giorno incontro persone che si "mettono nei guai". Il presente post mi ha fatto riflettere su un punto importante. Credo che all'origine delle devianze comportamentali di alcuni giovani, figli di stranieri stabilitisi in Italia, ci sia un vero e proprio conflitto di identità. Gravissimo se si considera che il senso di appartenenza in italia è molto forte e radicato sul territorio, connotato da una localismo estremo a discapito di quello nazionale. E trovo che questi giovani, nonostante la nasciata in italia, stentono ad inserirsi nel territorio, quindi si sento esclusi, di conseguenza vivono una confusione nella loro identità. Secondo te, tale aspetto della loro vita è motivo di reazione violenta al sistema socioale, che secondo loro non li vuole integrare, e quindi scelgono la via più facile per affermarsi, il crimine.
Scusa l'anonimato non ho un profilo..
Claudio da Trento.
@Menphis racconta di più…non mi è chiara la situazione
Ciao Ameya. E' fuori tema la richiesta che ti faccio. Ho cercato nel blog, ma non ho trovato l'argomento che cercavo. Cosa succede quando una persona fagocitante nel rapporto entra in relazione con una persona che si comporta come il capo di una setta? Grazie
Menphis
@:-) ma no
Sono passati vari decenni di vita e due anni e mezzo di blog; ma a questa domanda non saprei ancora cosa rispondere: mi auguro che non sia grave
@non giudico… per me è ok come la pensi
Cara Ameya, e' interessante la tua domanda, io rispondo cosi':
Sono un uomo nato al mondo per partecipare attivamente a questa nostra societa', ho dato molto in termine di lavoro, aiuti al prossimo, pronto a risolvere o tentare di risolvere molti problemi ad amici e sconosciuti in diverse occasioni, ma soprattutto amare anche senza essere ricambiato, e spesso mi ritrovo deluso dal prossimo, credo di essere un buon padre ed un buon marito, anche se considero mia moglie egoista.
So di avere tracciato un profilo generico di me, e quindi se devo ricevere un tuo giudizio analitico da te, non hai elementi a sufficienza per poter giudicare, comunque mi basta sapere cosa pensi del mio modo di vedere la vita, ti saluto.
gaetano
Sono l’energia che scorre nel mio corpo
Sono la materia in cui si annida la mia anima
Sono la mia mente fervida
Sono il mio cuore desideroso di dare e ricevere amore
Sono la mia resilienza e la mia debolezza
Sono le mie lezioni apprese e i miei errori ricorrenti
Sono una donna forte e una bambina smarrita
Sono una realtà immanente, una meteora che brilla un attimo nel cielo
Sono la coscienza lucida della mia caducità
Sono una scintilla di consapevolezza nel buio della notte
Sono la mia immagine riflessa nello specchio
Sono la mia ombra oscura
Sono il mio presente che accetto con animo pacificato
Sono la mia voce interiore che dice “Sì” alla vita
@comodità :-))
Mi viene da cliccare su mi piace ma non c'è! Dipendenza da fb?:)
certo fammi poi leggere…:-)
Sono una scrittrice e stavo pensando di inserire alcuni tuoi tratti nel mio romanzo dedicato alla rete! Che dici, si può fare?
@Gemisto se credi che sarà difficile…lo sarà…prova credere che "se sono riuscito una volta, riuscirò ancora…"
Molto interessante. Ma quando mi sono posta la domanda non ho trovato una risposta immediata. Mi sono detta "Sono una donna" e intorno a questo molto altro: farò l'esperimento che hai consigliato…mi hai incuriosita..
Un abbraccio
maria
E' molto interessante questo post. Io sto vivendo, purtroppo, una crisi identitaria diciamo indotta. A metà gennaio, mi hanno cambiato lavoro, sono passato da un reparto ad un altro. I colleghi di quest'altro reparto li conoscevo già tutti anche se in modo superficiale, ma non mi riesce in alcun modo di far breccia in un gruppo ormai consolidato. E' vero che sono una persona riservata e non mi piace pormi al centro della scena, ma da questo a risultare praticamente trasparente ce ne corre. E' pur vero che per farsi conoscere ed apprezzare ci vuole tempo, ma qui ho idea che dovrò faticare molto.